Con l’inizio delle vacanze inizia uno dei tormentoni dell’estate: compiti sì o compiti no? E se sì, quanti? Quali? 

Quanto sono fortunati i ragazzi nell’estate in cui finiscono un ordine di scuola e devono cominciarne un altro… perchè sono gli unici che sicuramente avranno l’estate libera. E gli altri? Come vivono i compiti per le vacanze i ragazzi dai 6 ai 18 anni? E i loro genitori? Monitorati, giudicati, pressati per fare sempre meglio, i nostri figli passano le giornate sotto vigilanza durante tutto l’anno: maestri e insegnanti a scuola, genitori a casa, allenatori e istruttori nello sport, precettori di vario tipo in tutte le altre attività formative. Un esercito di educatori appartenenti alle più disparate agenzie educative ogni giorno modellano e strutturano le competenze e il pensiero dei ragazzi e dei bambini che passano il tempo dell’anno scolastico, nove mesi l’anno, con loro.

E d’estate? Tutto si ferma per una pausa, per consentire ai ragazzi di riposarsi e di rigenerarsi, ma i compiti, nella maggior parte dei casi, non finiscono. Quale è il loro senso? E chi invece decide di non dare i compiti? 
Se i compiti durante l’anno scolastico possono essere importanti per riprendere e consolidare gli apprendimenti costruiti a scuola, i compiti per le vacanze hanno la funzione di tenere in allenamento i ragazzi nel periodo di lunga assenza da scuola. E’ necessario davvero mantenere un allenamento con esercizi che spesso ricalcano la tipologia di quelli che vengono svolti per tutto l’anno scolastico? 

Chi invece decide di lasciare liberi gli studenti dai compiti agisce pensando che le procedure, se ben rielaborate durante l’anno, restano nella memoria di chi studia o comunque si ri-apprendono  molto velocemente e che sia invece necessario un periodo di riposo anche dagli esercizi. Chi dice poi che ci si mantiene in allenamento cognitivo solo facendo gli esercizi dei compiti per le vacanze? 

Alcuni anni fa Maurizio Parodi, (Basta Compiti!, Sonda, Casale Monferrato (Al), 2012), un dirigente scolastico di Genova, creò addirittura il movimento Basta Compiti! da cui sono nati un manifesto, una petizione, un gruppo facebook, un libro e un  documentario.
Esiste quindi un movimento composto da dirigenti, docenti, genitori e pedagogisti che sostiene l’inutilità della somministrazione dei compiti in generale, non solo in estate.

Sembra oltretutto che questa sia una fissazione tutta italiana perchè negli altri paesi europei i giorni di vacanze, che siano il fine settimana, le vacanze invernali  o quelle estive, sono vacanze a tutti gli effetti anche per gli studenti: zero compiti.

Il manifesto di basta compiti è un decalogo in cui al nono punto si dice che i compiti sono assurdi perchè si danno persino i “compiti per le vacanze”: un ossimoro, un assurdo logico (e pedagogico), giacché le vacanze sono tali, o dovrebbero esserlo, proprio perché liberano dagli affanni feriali e invece si trasformano in un supplizio, creando stress, sofferenza, insofferenza;

Quindi i compiti sono da bocciare senza riserve?
Il problema è che i compiti sono uno dei tanti strumenti di un sistema di fare scuola obsoleto e controproducente per cui non è sufficiente smettere di dare i compiti se non si cambia il modo di fare didattica e di organizzare la scuola, continua Parodi, (…) “il problema, serio, è che manca in tanti insegnanti la convinzione di doversi occupare di apprendimento e di metodologie di studio, oltre che di contenuti. Manca un senso autentico di identità professionale”. 

Come si fa a insegnare senza comprendere i meccanismi dell’apprendimento?

Ma si sa, interrogarsi può essere drammatico, mentre le abitudini sono comode. Cambiare costa fatica. Accomodare i propri schemi mentali per accogliere il nuovo è ritenuto da molti insegnanti un inutile spreco di energie. Perché cambiare? Si è sempre fatto così! Perchè cercare di capire come suscitare negli alunni quell’accomodamento, di cui parlava Jean Piaget, necessario ad apprendere nuove conoscenze, se ci si rifiuta di accomodare la propria mente? Meglio trascinarsi stancamente su percorsi già battuti, senza la consapevolezza che stiamo continuando a tirare su persone che odiano il sapere. I risultati sono già sotto i nostri occhi: l’incultura è virtù, la conoscenza un disvalore.

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