Nata in Messico, cresciuta a Barcellona, residente a Brooklyn, New York City, il punto di vista creativo della fotografa e regista Camila Falquez (se volete sbriciare i suoi lavori, sorvegliate il suo account Instagram) risente virtuosamente dal background nel balletto e nella danza contemporanea. Il corpo, i corpi, sono soggetti d’arte a cui è affidato il potere di un linquaggio universale. Dopo aver lavorato per brand come Nike, Louis Vuitton, Hermès, Vogue, la sua prima personale, Body of Work, ha ricevuto una vera standing ovation alla Picture Farm Gallery di New York City.

Questo ritratto fa parte degli scatti del progetto Being, vera e propria riscrittura dell’immaginario della contemporaneità: la mission, infatti è reinserire i corpi neri, queer e con handicap all’interno del canone artistico tradizionale, da cui sono stati sempre esclusi.

Il progetto è nato per caso un anno fa a Brooklin, insieme a un gruppo di amici: la hair artist Evanie Frausto e una crew di make-up artist del calibro di Laramie Glenn, Michaela Bosh, Mical Klip e Agus Suga. Scatti alla mano, Falquez ha avuto un corto circuito visuale che tracimava dalle immagini: mix tra estetica classica e cultura queer, tra perfezione delle forme e trasgressione dei canoni. Un messaggio potentissimo che è diventato attivismo.

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“Piano piano, ho iniziato a capire quanto questo progetto fosse importante, e a informarmi sulla rappresentazione del corpo,” spiega, “non solamente rispetto ai queer studies, ma anche alla teoria della storia dell’arte, tipo il modo in cui abbiamo imparato a capire cos’è la vera bellezza”.

E’ iniziata così la rivoluzione estetica di Being, progetto irriverente con l’obiettivo di mettere in discussione i codici occidentali di bellezza ma senza andare-contro, piuttosto andando-con: il linguaggio visuale è quello di tutti i più grandi musei, ma è il soggetto che cambia. Ed eccoli, i corpi da sempre esclusi nei contesti istituzionali, in pose composte ma capaci di rompere in mille pezzi il pregiudizio, di scardinare l’ovvio e di costruire carismatiche contro-narrazioni.

Sfondi morbidi, piedistalli, copricapi elaborati, tessuti pregiati e pose classiche raccontano la consapevolezza dell’artista, nella sua operazione, il cui risultato non è mai kitsch o grottesco ma coniuga l’eccentricità inaspettata del camp con l’eleganza rassicurante del già-noto. Tante, comunque, le citazioni, persino di San Sebastiano o il ritratto Martin Soolmans dipinto da Rembrandt .

Eppure, il progetto non ha avuto fortuna, ed è stato scartato da tutte le testate del mondo. Falquez non si è persa d’animo, anzi: la rabbia si è trasformata in empowerement: “Siamo l’incarnazione di un nuovo tipo di storia, una storia rinnovata e documentata, la nostra esistenza manifesta l’impossibile”. Oltre ad aver autoprodotto il progetto, gli scatti si sono incarnati nella città (New York) diventando manifesti.

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Grazie al fotografo Texas Isaiah, sitter è diventato il termine usato per definire i soggetti queer rappresentati, per ridare valore a chi altrimenti sarebbe solamente un modello: e Falquez ha chiesto alla scrittrice Anisa Tavangar di intervistare ogni sitter rispetto alla relazione con i concetti di potere e di bellezza, e del modo in cui percepissero l’assenza di corpi come i loro all’interno della storia della politica e dell’arte. Le loro risposte sono diventate il Manifesto di Being.

Ed ecco che l’arte di Falquez diventa strumento di denuncia: non si possono più ignorare i codici visuali, i corpi che si allontanano troppo dalla norma e la rappresentazione dell’umanità va reinventata. Come dichiara il manifesto: “Immagina un potere che sia nero e queer. Immagina un potere che sia comune. Immagina un potere che si alimenta di bellezza e sapere. Questo è il potere che creiamo oggi”.

Questo progetto, con il permesso di ciascuno dei soggetti, è anche una raccolta fondi: il 100% dei proventi viene donato per sostenere le vite trans, incluso The Okra Project, G.L.I.T.S e The Marsha P. Johnson Institute.

“Questo progetto è interamente autofinanziato ed è stato girato nel corso di un anno a Brooklyn, e ora siamo molto felici di condividerlo con il mondo”. Acquistate le opere o donate (qui) a partire da 20 dollari!

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