Se la comunità internazionale sta facendo ancora poco per fermare il genocidio a Gaza, la società civile può boicottare Israele, non comprando i suoi prodotti e quelli delle aziende che investono nel paese ebraico per dare un segno e schierarsi contro i massacri.

Qualcosa si muove, ma…

“Noi, i firmatari elencati di seguito, ci uniamo per trasmettere un messaggio semplice e urgente: la guerra a Gaza deve finire ora, così si apre la dichiarazione dei ministri degli Esteri di Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Giappone, Irlanda, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera del 21 luglio.

Dopo 21 mesi, praticamente quasi due anni, di guerra qualcosa si muove. Dopo attacchi indiscriminati su ospedali, scuole, abitazioni civili e sui gazawi in fila per ricevere aiuti umanitari, dopo che 60.000 palestinesi sono stati uccisi di cui 18.000 bambini, i ministri degli Esteri di questi Paesi hanno finalmente capito che quello che sta avvenendo a Gaza è “agghiacciante” (dalla dichiarazione).
Quasi sicuramente la reazione internazionale è più forte da quando, il 17 luglio, l’esercito israeliano ha bombardato la Chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, provocando tre morti e diversi feriti. Per Netanyahu “è stato un errore”, per Tajani “è un atto grave contro un luogo di culto cristiano”.

Il giorno dopo la dichiarazione dei ministri, il 22 luglio, Israele ha comunque iniziato un’offensiva nel centro della Striscia di Gaza, fino a questo momento preservata dai bombardamenti diretti. L’operazione su Deir al-Balah, una zona che ospita migliaia di sfollati e in cui avviene principalmente la distribuzione degli aiuti umanitari, è stata avviata dopo l’ordine di evacuazione per 50mila persone. Ormai agli abitanti della Striscia di Gaza non resta che poco spazio dove vivere.
Secondo le Nazioni Unite il 12% del territorio di Gaza raccoglie 2,1 milioni di persone; mentre quasi l’88% è stato evacuato o è sotto il controllo dell’esercito israeliano.

In questa situazione gli abitanti della Striscia di Gaza continuano a morire. Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha parlato di “orrore che si sta consumando a Gaza, con un livello di morte e distruzione senza precedenti nella storia recente”.

Sanzioni contro chi denuncia e non contro chi si macchia di genocidio

La dichiarazione dei ministri degli Esteri dei 25 Stati, seppure sia una presa di posizione, è ancora lontana da produrre effetti concreti. È una dichiarazione di desiderata ma non ha ripercussioni a livello pratico: non ci sono sanzioni economiche, diplomatiche e/o individuali su Israele e il suo governo, così come avvenuto per la Russia di Putin dopo l’aggressione all’Ucraina.

Di contro, chi osa definire genocidio quello di Gaza è tacciato di antisemitismo e viene sanzionato, così come avvenuto per Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sul Territorio palestinese occupato. Nel rapporto “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio” (luglio 2025) la giurista indaga i meccanismi aziendali che sostengono il progetto coloniale israeliano e denuncia la complicità di più di 45 aziende che appoggiano e permettono il genocidio.
A seguito della pubblicazione del report, l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni alla funzionaria Onu, accusandola di portare avanti “una campagna politica ed economica contro gli Stati Uniti e Israele”.

Gli Stati Uniti non sono nuovi a questi tipi di comportamenti. Da giugno stanno sanzionando quattro giudici della Corte penale internazionale per i loro pronunciamenti definiti “azioni illegittime” contro gli Stati Uniti e Israele.
Nel 2017, quando la giurista gambiana Fatou Bensouda, procuratrice capo della Corte penale internazionale dal giugno 2012 al giugno 2021, cercò di aprire un’inchiesta sui presunti crimini commessi da funzionari statunitensi in Afghanistan, le fu negato il visto per entrare negli Stati Uniti e la corte fu minacciata di sanzioni economiche. L’indagine fu quindi lasciata per le pressioni esercitate dall’amministrazione Trump.

Va da sé che si stiano attaccando i principi fondamentali della giustizia internazionale e si stia smantellando il diritto internazionale, come patto che regola i rapporti tra Stati e la vita della comunità internazionale senza l’uso della forza.

Boicottare Israele, un’azione attiva e non violenta

Nel chiederci cosa possiamo fare, le parole pronunciate da Francesca Albanese nel TEDxBergamo “Potere ad ogni passo” del 15 luglio sono un sollecito a una scelta attiva: “Oggi, vedete, fermare il genocidio in Palestina è il banco di prova dell’umanità: e non solo come esseri umani, perché l’altro siamo noi, e i figli degli altri sono comunque bambini, e quindi pure nostri. Perché oggi la Palestina ci rivela tanto, e troppo, di quello che non va anche a casa nostra. […] Quando chi manifesta viene manganellato, quando viene chiamato ‘terrorista’ chi invoca la libertà, e ‘antisemita’ chi invoca il diritto internazionale per fermare il genocidio, l’occupazione permanente e mettere fine all’apartheid. E allora sì, serve una ferma presa di coscienza, serve il nostro senso di responsabilità e una scelta attiva. Serve il nostro potere di difendere insieme ciò che è giusto, a partire dai nostri diritti fondamentali, quelli che ci siamo dati per noi e per gli altri”.

Boicottare Israele per non finanziare il genocidio può essere una risposta. Sul sito del movimento BDS Italia (Boicottaggio disinvestimento sanzioni) c’è la lista aggiornata dei prodotti da non comprare. Il movimento ha stretto anche una partnership con Boycat, un’applicazione che classifica le imprese in base al loro coinvolgimento con Israele.
Scaricando la app si possono controllare gli acquisti così da disincentivare il sostegno delle aziende al genocidio palestinese.

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