Diana Biondi aveva ventisette anni e ha deciso di togliersi la vita. Lo ha fatto, a quanto si apprende dalle prime indagini, perché aveva comunicato alla famiglia che il 28 febbraio scorso avrebbe dovuto discutere la sua tesi di Laurea in Lettere Moderne all’Università Federico II di Napoli.

Sembra però che non ci fosse nessuna sessione di laurea per lei, a cui mancava ancora almeno un esame, e allora il lunedì precedente, ha deciso di sparire nel nulla. È stata ritrovata giovedì 2 marzo, senza vita, dopo essersi lanciata in un dirupo di Somma Vesuviana, la sua città.

Prima di lei, lo scorso 1° febbraio, un’altra studentessa di 19 anni si era tolta la vita nel bagno dell’università IULM di Milano perché non sopportava il peso di non essere in pari con gli studi: “ho fallito” ha lasciato scritto nel biglietto per la sua famiglia.

Prima ancora, a novembre 2022, Riccardo Faggin, ha scelto di schiantarsi con la sua auto contro uno dei platani che costeggiano via Romana Aponense a Padova. Lo ha fatto il giorno prima di quella che doveva essere la data della sua laurea. Laurea che invece non era prevista perché Riccardo, studente di scienze infermieristiche, era lontano dal concludere il suo ciclo di studi.

Sono purtroppo abbastanza certa che se andassi indietro nel tempo troverei altri episodi come questi. Ragazzi giovanissimi che piuttosto che accettare quello che loro ritengono un fallimento o la possibilità di cambiare strada, scelgono di non avercela più una strada da percorrere.

E fanno riflettere le considerazioni dei giorni dopo. Ogni genitore coinvolto pagherebbe per riavere il proprio figlio finanche disoccupato ma vivo. Le università si sperticano nel comunicare ai propri studenti che no, non è importante essere veloci, è importante essere preparati, salvo poi imbottire di crediti formativi obbligatori i piani di studio degli studenti o aumentare le tasse a dismisura per i fuori corso.

I maître à penser che si domandano come sia stato possibile costruire una società dove a 19 anni ci si possa sentire dei falliti; gli stessi maître à penser che poi per settimane intere ci hanno raccontato la storia dell’enfant prodige Carlotta Rossignoli, laureata a 23 anni in medicina all’Università San Raffaele di Milano, ben 11 mesi prima del termine, perché, come rivelano i media, “non ho perso tempo. Io non perdo mai tempo”.

Il giorno dopo tutti cercano delle soluzioni, mai che si faccia il giorno prima. Mai che si capiscano i campanelli d’allarme, le grida d’aiuto che i ragazzi lanciano costantemente in mille modi diversi. Finché non ci scappa il morto, tutti pronti a puntare il dito sui giovani maleducati, incapaci di impegnarsi, che non hanno prospettive, che vogliono tutto e subito. E spesso è vero. Salvo poi essere gli stessi che puntano il dito a lanciare precocemente ragazzini nel mondo degli adulti senza spiegare loro come si sopravvive. E, ad un certo punto, finisce che loro si arrendono. E i “non ci siamo accorti di niente” si sprecano.

La paura del fallimento
può travolgere tutti

Quando Blanco (pseudonimo di Riccardo Fabbriconi) ha devastato il palco di Sanremo perché non sentiva la sua voce nei suoi in ear, anche io ho pensato che fosse stato un cafone; ma poi mi sono ricordata che ha 20 anni, che è stato gettato nella fossa dei leoni, più o meno consapevolmente, ancora minorenne, che in questi ultimi 2 anni lo hanno trasformato nell’enfant prodige, anche lui, della musica italiana, ha vinto premi, riempito stadi, ottenuto certificazioni.

E poi si è trovato lì, su uno dei palchi più importanti per la musica nostrana, a cantare per la prima da solo il suo nuovo singolo come superospite, e lì succede il patatrac: il senso di fallimento di non riuscire a fare quello per cui era stato invitato e, probabilmente, strapagato, lo travolge e la preoccupazione che tutti pensino che sia stato un grande bluff diventa insostenibile e allora sceglie di reagire a modo suo, come se pensasse che se deve essere contestato almeno è perché ha fatto un danno e non perché ha fallito. Perché fermarsi, scusarsi e ricominciare non è contemplato, non è ciò che ci si aspetta da lui.

Questo Riccardo spacca tutto, l’altro Riccardo preme sull’acceleratore finché non è tutto finito. In entrambi i casi, il vandalismo e la morte, soppiantano il fallimento e la delusione.

Per oggi non mi tolgo la vita – Alfonso Bertani
Exorma Edizioni

Eppure Alfonso Brentani ci racconta che anche nel suicidio si può fallire. Nel suo romanzo d’esordio Per oggi non mi tolgo la vita (Ed. Exorma) il protagonista, un aspirante suicida, dice di se stesso di essere “nato storto per morire dritto”.

Tra grotteschi tentativi di togliersi la vita e sotto la coltre fitta della depressione, il nostro disturbato guerriero incrocia la “dottoressa centottanta” e gli psicofarmaci, e scopre “le verità del bugiardino”, tutto nel tentativo di diradare l’ombra del male oscuro.

Un testo lucido, intelligente, disincantato, nel quale, con l’espediente del flusso di coscienza, la narrazione assume a volte un tono aspro che tende alla comicità e all’assurdo ma che fa anche molto riflettere.

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