“Capire la mente”, il bonus psicologo è come i croissant di Maria Antonietta
Il bonus psicologo è la non-soluzione facile a una questione difficile. "Capire la mente" di Manuela Romagnoli affronta l'argomento.
Il bonus psicologo è la non-soluzione facile a una questione difficile. "Capire la mente" di Manuela Romagnoli affronta l'argomento.
E’ bello che si parli sempre di più di salute mentale e che a farlo siano anche personaggi conosciuti e in grado di attirare l’attenzione sul tema.
E’ meno bello quando il messaggio diffuso finisce per semplificare e spesso banalizzare una questione che è di una complessità inaudita e la cui soluzione non può passare per concessioni una tantum.
L’appello di Fedez per il bonus psicologo è la non soluzione facile a un problema difficile, un po’ come i croissant di Maria Antonietta. Se il popolo è senza sostegno psicologico da parte del servizio pubblico non si può rispondere
“Dategli il bonus!”
senza che questa risposta offuschi quella corretta, ovvero che al popolo vanno assicurate cure gratuite e sistemiche da parte dello Stato per un periodo sufficiente a garantire la guarigione.
E no, il meglio di niente non funziona, perché il denaro destinato al bonus è denaro che dovrebbe essere immesso nel Servizio Sanitario Nazionale per implementare e garantire un servizio efficiente e gratuito per chiunque ne abbia necessità.
E quell’implementazione non può avvenire semplicemente destinando più soldi ma anche modificando i criteri con cui si eroga e si dà accesso al servizio. Questo significa far sì che chiunque abbia la necessità di un supporto psicologico o psichiatrico o più in generale medico legato alla salute mentale ne possa usufruire in capo al servizio pubblico per il tempo necessario alla guarigione.
Facciamo l’esempio dei disturbi alimentari, malattie che hanno una matrice mentale ma con pesanti ricadute dal punto di vista fisico. Attualmente, le liste d’attesa per accedere a una prima visita e poi all’ambulatorio vanno dai sei mesi all’anno nella maggior parte delle regioni. Questo significa dare alla malattia tutto il tempo per aggravarsi ancora prima di averla diagnosticata formalmente.
Le conseguenze sono molteplici, sia sulla persona malata che sul sistema sanitario, che si ritroverà ad avere un paziente con varie patologie fisiche derivate da una malattia mentale non curata: osteoporosi, diabete, malattie metaboliche, prolasso intestinale, erosione dello smalto e perdita dei denti, gastrite cronica, problemi cardiaci solo per citarne alcune.
I disturbi alimentari, ma anche la disregolazione emotiva, il disturbo borderline di personalità, la depressione e l’autolesionismo stanno diventando sindromi generazionali, segno che qualcosa, nel paradigma educativo, sociale e famigliare si è inceppato.
Pensare che la causa di tutto questo sia unicamente la pandemia è quantomeno ingenuo: la pandemia ha solo velocizzato un processo che era in atto da tempo. Le nuove generazioni sono figlie dell’assenza di frustrazione diretta e del bombardamento di quella indiretta, cresciute per lo più in famiglie che hanno cercato di ridurre al minimo regole e imposizioni ma al tempo stesso immerse in una palude informativa che le bersaglia con catastrofi imminenti.
Bambini cresciuti come esseri unici e speciali, pompati all’inverosimile, istruiti a pretendere il massimo dando poco o nulla in cambio, che non pianificano il futuro perché convinti che non ne avranno uno e che crollano davanti alle responsabilità della vita adulta.
In queste condizioni, la malattia mentale è dietro l’angolo, perché rappresenta l’unica, estrema difesa del cervello rispetto all’orrore che ci circonda.
E così ci ritroviamo con ragazzi sempre più fragili, incapaci di reagire agli inevitabili colpi della vita, perché noi genitori per primi – e la società e la politica poi – non li abbiamo addestrati a farlo.
In una situazione simile è impensabile cavarsela col bonus psicologo, perché qui non si tratta di mettere una pezza a una situazione difficile ma di aiutare un’intera generazione a imparare a stare al mondo.
Se volete approfondire in modo semplice e intuitivo il funzionamento della nostra – e della loro – mente, leggete Capire la mente di Manuela Romagnoli, EPC editore.
1 Comment
Sono d’accordo con lei. Nel mio studio privato dove lavoro come psicologo clinica mi arrivano principalmente adolescenti e giovani adulti.
I problemi sono inevitabilmente legati alle dinamiche familiari e, come consiglia anche il prof. Lancini, occorrerebbe prendere in carico tutto il sistema familiare. Nel privato ciò è molto difficile perché spesso il professionista lavora da solo e, anche se avvale della collaborazione di altri professionisti sanitari, è nel pubblico che il più delle volte si può trovare un equipe con psicologi, psichiatri e altre figure professionali che quotidianamente collaborano in sinergia.
Ecco che però che ci si scontra con liste di attesa chilometriche e i giovani con le loro famiglie ne subiscono i danni.