Newton, Copernico, Tolomeo, Galilei, sono nomi noti a chiunque nel mondo. Gli astronomi maschi raggiungono spesso una fama mondiale, ma c’è un nome che non viene citato e che invece andrebbe annoverato accanto ai grandi, quello di Cecilia Payne-Gaposchkin (1900-1979).
Il suo lavoro era basato su complessi calcoli e una meticolosa raccolta di dati, ma il fatto che Cecilia abbia saputo leggere e dialogare con le stelle, finisce per conferirle un ché di romantico.

La sua storia è segnata dalla morte del padre quando lei era molto piccola e dalla madre che rifiutò di spendere soldi per darle un’istruzione universitaria. La caparbia ragazza si impegnò e vinse una borsa di studio a Cambridge dove iniziò concentrandosi sulla botanica, la fisica e la chimica, ma, dopo aver assistito ad una conferenza di Arthur Eddington sulle eclissi solari, decise di dedicarsi all’astronomia. Freneticamente si impegnò seguendo tutti i corsi possibili, costruendo un telescopio e presiedendo la Società Scientifica del College.

A quell’epoca, se vivevi in Inghilterra ed eri donna, avere la mente brillante non apriva comunque le porte di accesso a campi che erano considerati di dominio maschile.
Cecilia, che invece desiderava perseguire i suoi interessi, decise di trasferirsi negli Stati Uniti per lavorare ad Harvard. Fu la prima donna a ottenere un dottorato in astronomia alla Radcliffe College con quella venne definita “La più brillante tesi di dottorato mai scritta in astronomia”.

Cecilia Payne non solo aveva scoperto di che pasta era fatto l’universo, ma aveva anche scoperto la composizione della massa del Sole.
La sua ricerca determinò le temperature stellari e stabilì la costituzione delle stelle in idrogeno ed elio con tracce di altri elementi. La tesi indicava come l’idrogeno fosse di gran lunga il loro maggior costituente (circa il 90%) tuttavia, dato che allora si riteneva – erroneamente – che le stelle fossero costituite principalmente di ferro (in analogia con le componenti del nucleo della Terra) la giovane Cecilia non ebbe il coraggio di perseguire la sua tesi, soprattutto per non contrastare l’opinione degli emeriti Harlow Shapley (Harvard College Observatory) e Henry Norris Russell (Princeton University nel New Jersey).

Il merito è di Cecilia Payne,
ma se lo prende un uomo

Successivamente un altro astronomo, Robert J. Trumpler, che inizialmente aveva contestato la correttezza della tesi di Cecilia, arrivò al medesimo risultato con mezzi diversi e gli venne riconosciuto il merito della scoperta, merito che lui si prese senza mai minimamente citarla.

Il supervisore di Cecilia, Shapley sfruttò molto il suo lavoro, sottopagandola in quanto donna. Non retribuì adeguatamente nemmeno suo marito, Sergei Gaposchkin, un astronomo russo fuggito dall’Europa poco prima della seconda guerra mondiale; gli introiti erano così bassi che la coppia non poté permettersi l’assistenza all’infanzia, ciò li costrinse a lasciar scorrazzare i loro tre figli per l’osservatorio durante il giorno!

Fu solo nel 1954, dopo che Shapley fu sostituito da Donald Menzel, che l’astronoma ricevette uno stipendio ragionevole e il riconoscimento ufficiale quale docente di Harvard. Al pensionamento divenne addirittura professore emerito. Finalmente gli ostacoli che l’avevano frenata per tutta la vita caddero.

Dal 1956 al 1960 fu anche Preside del Dipartimento di Astronomia, prima donna ad ottenere tali posizioni ad Harvard. Da allora in poi le donne nel dipartimento di scienze e astronomia iniziarono a veder riconosciuti i loro meriti.

Cecilia continuò le sue osservazioni sulle stelle variabili e sulle novae, arricchì l’archivio di milioni di foto di stelle della Via Lattea e delle nubi di Magellano e i suoi risultati aiutarono a comprendere la struttura della Galassia e l’evoluzione stellare.

Cecilia Payne va ricordata e ringraziata per le sue scoperte scientifiche, ma anche per aver abbattuto posizioni discriminatorie aprendo la strada alle donne che l’hanno seguita.

Nel 1967 ottenne il Premio Henry Norris Russell dall’American Astronomical Society, considerato il massimo riconoscimento in astronomia e divenne membro della direzione dello Smithsonian Astrophysical Observatory.

Che altro possiamo dire di una donna che ha saputo leggere le stelle? Non rimaneva che dedicarle un asteroide, cosa che avvenne nel 1974. Chi più di lei se lo era meritato?

Donovan Moore la ricorda nella sua biografia What stars are made of, in cui l’autore dà vita a questa straordinaria donna attraverso un’ampia ricerca d’archivio, interviste familiari e fotografie. Una storia di dedizione e costanza che si rivolge alle donne di oggi per incoraggiarle nella tenacia.

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