Non abbiamo nessun potere vero sulla nostra vita. Abbiamo solo dei giorni che si realizzano secondo i nostri desideri. Ma è lì l’inganno. Quella carota che si mette davanti all’asino per sopportare la fatica del percorso. Sorrido, un po’ amaramente e mi domando quanti di noi non sono mai usciti da questa modalità, che certo dà sicurezza, ma non l’ebrezza di aver cercato comunque la propria ricompensa. Poi succede che assaggi un vino con un nome strano. Vai a leggere chi lo ha pensato e comprendi che si possono cambiare gli addendi, tanto da convincerti che il risultato finale, pur non cambiando, ti sta rendendo partecipe.

Eric Texier, francese del sud, può dire di farlo. Eppure era partito per capire il mondo tramite i suoi atomi, diventando ingegnere nucleare, ma poi strada facendo niente lo ha rapito più di quella formula perfetta che è la natura, in tutte le sue forme possibilmente piccole, tonde e trasformabili in quella cosa meravigliosa che è il vino. Cosi i suoi 12 ettari nel nord della Cotes du Rhone, tra Montelimar e Valence, sono diventati il suo studio applicato sulla materia. La bottiglia che ho bevuto si chiama Chat Fou 2019 (gatto pazzo) e credo non ci sia un nome più adatto a descrivere un rosso così. Immaginate l’eleganza del passo, dei suoi movimenti accompagnati da improvvisi scatti che ti costringono a prestare attenzione. Bellissimo! Sorso dopo sorso senza noia.

Le uve che lo compongono sono Grenache, Carignan, Chasselas e circa un 15% di uva bianca, il Cinsault. La sua idea di viticoltura é legata alla tradizione dei vini di quel territorio fatto di sabbie, granito e argille, con gradazioni alcoliche moderate, finezza, polpositá e capacità d’invecchiamento. La fermentazione del vino é spontanea, in contenitori aperti di legno o acciaio, per poi essere affinato per almeno altri sei mesi sempre in acciaio. Leggendo di Eric Texier, ho trovato che oltre a lavorare in biologico, si affida alla permacoltura che é uno studio sulla gestione etica della terra. Questo ulteriore aspetto mi ha fatto intendere quanta attenzione ci sia per preservare e ritrovare oltre al Syrah anche il Serine, che é una varietà ancora più antica e della quale possiede due vigne di oltre 90 anni.

Comunque nel mio vagare tra vigne e vignaioli, ho conosciuto tante persone che ad un certo punto della loro esistenza, si sono ritrovate ad abbandonare posizioni tra le più diverse, per abbracciare in senso metaforico la terra. Come una mancanza da colmare o meglio come un compito da svolgere. Più semplicemente il potere di provare a preservarla. 

A proposito di questo. Vorrei spendere una parola per quel tassista che mi ha portato al Campo Boario del Testaccio, esattamente accanto alla manifestazione di Vini Selvaggi, dove era allestito un set cinematografico. Di fronte al blocco, tipo flash-mob, delle varie persone mi ha chiesto prima di scendere, “ma é lei l’attrice che stanno aspettando?”

Preservatelo, vi prego, perché non si era accorto che qualche metro prima avevano cercato di fermarlo!

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