Tra le fonti normative e politiche che sono alla base della strategia Europea per la tracciabilità alimentare detta From farm to fork – F2F (comunemente tradotta con: dai campi alla tavola o dal produttore al consumatore), lanciata a maggio 2020 dalla Commissione Europea, una spicca su tutte: la Comunicazione pubblicata l’11 dicembre 2019, nota come European Green Deal.

Quest’ultimo è il grande piano per l’ambiente e lo sviluppo sostenibile lanciato dalla Commissione e approvato dal Parlamento europeo, che mira, entro il 2050, ad avere un’economia a impatto ambientale zero.

Il collegamento è cruciale e significativo, e ci consente di evidenziare tre elementi distintivi e interessanti: il primo riguarda il fatto che le politiche agricole e di sicurezza e qualità dei cibi sono strettamente collegate alla tutela dell’ambiente; il secondo evidenzia lo stretto collegamento tra conoscenza e informazione dei consumatori e politiche ambientali, dato che la misura in questione è soprattutto una politica di trasparenza e apertura delle informazioni sui processi produttivi; infine, si rimarca che le politiche di regolazione e controllo sull’agroalimentare non sono meramente indirizzate alla tutela dei consumatori, ma hanno una strategia finalizzata anche alla promozione dello sviluppo, purché sostenibile (a resource-efficient, climate-friendly and competitive economy).

Ma che cosa è la From farm to fork strategy?

Sostanzialmente si tratta di un sistema di regolazione pubblica che segue tutta la filiera alimentare, dalla produzione al consumo finale, con l’obiettivo di garantire cibi nutrienti, a prezzi ragionevoli e sicuri. In questi aggettivi, si noti, ci sono le tre componenti fondamentali delle politiche sull’alimentazione, per cui i cibi devono essere buoni e nutrienti (food quality), di facile approvvigionamento (food security), e sani (food safety).

Più in dettaglio, il piano presentato dalla Commissione prevede una serie di azioni – 27 misure legislative e non legislative da attuarsi dal 2020 al 2024 – che dovrebbero migliorare il sistema agro-alimentare europeo, rendendolo più green, più sicuro, più trasparente, più competitivo. Tra le varie azioni si segnalano: ridurre l’uso dei pesticidi in agricoltura; ridurre l’eccesso di nutrienti nell’ambiente (una delle principali cause di inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua); ridurre del 50% le vendite di sostanze antimicrobiche per gli animali di allevamento e l’acquacoltura; incentivare l’agricoltura biologica; creare un ambiente in cui scegliere cibi sani e sostenibili sia la scelta più semplice; etichettare meglio i prodotti alimentari per consentire ai consumatori di scegliere un’alimentazione sana e sostenibile; intensificare la lotta contro gli sprechi alimentari; incrementare i finanziamenti a ricerca e innovazione; promuovere la transizione globale, mettendo in primo piano la sostenibilità dei prodotti alimentari europei.

Vantaggi e inconvenienti: tre sono gli elementi positivi che possono essere segnalati.

In primo luogo, gli obiettivi, che sono ambiziosi e in linea con la situazione attuale che riguarda il comparto agroalimentare: ridurre l’uso dei pesticidi, incentivare l’agro-ecologia e la ricerca su questi temi, ridurre gli sprechi, sono finalità nobili, condivisibili e quanto mai necessarie.

In secondo luogo, il collegamento con il green new deal e i suoi obiettivi, nonché con la PAC (la politica agricola comune), che sarà il braccio operativo della strategia in parola, affinché la stessa abbia risultati concreti.

Infine, si evidenzia lo sguardo ampio e olistico dell’operazione, che se da un lato incentiva le pratiche virtuose, dall’altro chiede di limitare o eliminare quelle più dannose. Non solo, prevede limiti o incentivi per i produttori e al tempo stesso coinvolge direttamente consumatori e cittadini.

Tra gli elementi negativi, invece, si deve rilevare quanto segue.

In primo luogo, la strategia ha il difetto della troppa vaghezza: non ha carattere vincolante ed è priva di misure operative e concrete. Rischia di essere l’ennesima lista di buoni propositi che non verranno mai attuati in modo effettivo ed efficace.

In secondo luogo, proprio il collegamento con la PAC non è sufficiente: la PAC è un tipo di politica agricola che ha effetti molto rilevanti sul settore e sugli aspetti ad essa correlati (ambiente e sviluppo agricolo su tutti). E questa risulta ancora poco green (sono insufficienti gli incentivi e gli aiuti all’agricoltura sostenibile) e poco sociale (i finanziamenti che prevede sono calcolati in base agli ettari coltivati, per cui sono ancora i grandi produttori a beneficiarne maggiormente, il che è un palese controsenso, soprattutto nell’ottica di un’agricoltura più environmental-friendly).

Infine, il piano F2F rivela ancora alcune ambiguità o scelte poco coraggiose su temi cruciali: apre agli OGM, sebbene di ultima generazione; la riduzione del 50% dei pesticidi è un obiettivo al ribasso, visto l’impatto che tali sostanze hanno sull’ambiente e sulla biodiversità; la strategia nel contesto globale è piuttosto timida, con il rischio che i competitors extra-europei, favoriti da regole meno stringenti, possano aggredire il mercato dell’Unione con prodotti più economici ma meno sicuri e meno green.

A questo punto non resta che attendere le prossime mosse e vedere come si sviluppa il piano. Intanto, per informarsi su pro e contro, segnaliamo:

Slow Food

I-Com

Gambero Rosso

Sole24Ore

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