La globalizzazione e l’esperienza della pandemia continuano a cambiare il mondo del lavoro. Non è più solo l’impresa a stabilire le regole, anche il dipendente pretende un nuovo ruolo. Cresce il peso dell’aspetto sociale dell’azienda e così il fattore S di Esg diventa decisivo nelle scelte.

La nostra Costituzione si apre con un messaggio bellissimo e impegnativo: L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro, recita l’articolo uno della legge fondamentale del nostro Paese. Già, ma quale lavoro?. In questa fase della nostra storia non c’è parola che adesso sia diventata più comune e forse abusata. Il lavoro a tempo determinato, il lavoro precario, il lavoro abbandonato, il lavoro part time, il lavoro atipico, il lavoro che manca e quello che statisticamente cresce, il lavoro che emigra, il lavoro che resta da fare per arrivare alla pensione. E anche il lavoro che uccide, con la lunga catena di morti sul lavoro.

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Il lavoro “liquido”

La realtà è che ormai il lavoro è diventato liquido, mutevole, sfugge alle classificazioni che per decenni ne abbiamo fatto, e crea da solo nuove regole. Come spiegare altrimenti il fatto che l’Istat simultaneamente certifica un record per il tasso di occupazione nel secondo trimestre dell’anno e che i giornali intanto raccontano di sempre più persone che abbandonano lavori stabili e si rifugiano in un piano B, lontani da orari e routine?

E che mentre sempre l’Istat ci informa che il tasso di disoccupazione è sceso al 6,2% (ma quello di inattività è sempre altissimo al 33,1%) prosegue la fuga di cervelli, l’esodo di giovani laureati verso destinazioni estere? Una migrazione a senso unico: uno studio di Almalaurea sulla condizione occupazionale dei giovani in possesso di un elevato titolo di studio svela che il 70% degli occupati all’estero dopo la laurea esclude (o quasi) di rientrare in Italia. Al 38,4% che giudica improbabile il ritorno si somma, infatti, un altro 30,5% che lo reputa poco probabile; completano il campione il 14,7% che non esprime un giudizio. Solo il 15,1% intende invece compiere il percorso inverso.

I nuovi confini del lavoro, la globalizzazione,
la sicurezza economica

Forse la risposta è che dal lavoro ci aspettiamo qualcosa di diverso da quello che è stato per decenni: un posto fisso, una relativa sicurezza economica, prospettive di progresso nella retribuzione. Non è più così. Il posto è sempre meno fisso da quando la globalizzazione ha allargato i confini delle imprese: produco dove mi conviene e dove costa meno la mano d’opera.

La sicurezza economica non c’è più, scalfita dalle crisi industriali e dall’inflazione che erode gli stipendi. Il progresso nella retribuzione è ormai un miraggio, dato che gli stipendi italiani sono quelli che hanno avuto la minore crescita media da decenni: la busta paga resta sempre la stessa. Dal lavoro ci aspettiamo qualcosa di diverso, più legato alla nostra condizione umana: una retribuzione adeguata alle proprie competenze e al proprio talento, certamente, ma anche l’essere coinvolti nell’azienda che ci retribuisce e che utilizza le nostre capacità: ci interessa quindi la possibilità di essere valorizzati, un ambiente confortevole e con buoni rapporti tra i dipendenti, veder restituire al territorio parte della ricchezza prodotta sotto forma di azioni sociali o culturali, poter disporre di flessibilità per incrementare il tempo libero da dedicare alla famiglia o alle proprie passioni.

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Queste, raccontano gli uffici di reclutamento, sono tra le domande più frequenti che si sentono rivolgere dagli aspiranti dipendenti al momento del colloquio: la retribuzione è importante, ma non è più l’unico parametro preso in considerazione. Ecco allora che il lavoro comincia a cambiare dal basso, da chi lo cerca e non più solo da chi lo offre. E questo cambiamento è recepito dagli imprenditori più innovativi, che hanno realizzato come la lettera S nell’acronimo Esg dell’agenda 2030 (Environment, Social, Governance) stia diventando la più importante del trio.

Perchè il lavoro che coinvolge il dipendente, che restituisce socialmente all’essere umano e al territorio i benefici dell’attività economica è un fattore di soddisfazione per i lavoratori, di sviluppo per l’azienda e di mantenimento in casa dei talenti assunti e cresciuti. Sono sempre di più gli imprenditori visionari consapevoli del cambiamento in atto, soprattutto tra le giovani generazioni che stanno affiancando i boomers alla guida delle aziende di famiglia, i i manager che hanno respirato in casa o all’estero l’aria nuova del lavoro.

Li incontreremo per raccontare le loro storie.

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