Confinamento ed usura dell’anima, cosa succede se il cervello viene isolato
Emozioni, esperienze sensoriali, affettività sono il terreno su cui il cervello si sviluppa. Confinarlo e privarlo di questo terreno porta ad una lenta usura.
Emozioni, esperienze sensoriali, affettività sono il terreno su cui il cervello si sviluppa. Confinarlo e privarlo di questo terreno porta ad una lenta usura.
Il neuropsichiatra francese Boris Cyrulnik, padre della psicoecologia, definisce il confinamento un’immensa aggressione psichica.
Nel suo recentissimo libro Des âmes et des saisons – Psycho-écologie (gennaio 2021, Odile Jacob): dimostra che il nostro cervello ha una struttura che dipende dal nostro ambiente, che non si sviluppa al di fuori di esso.
Emozioni, storie di vita, esperienze sensoriali ed affettività sono il terreno su cui il cervello si sviluppa, tutto ciò che ci circonda ci modella, confinarlo e privarlo di questo terreno porta ad una lenta usura che si manifesta anche materialmente in certe strutture come l’amigdala (così detta perché a forma di mandorla), che attribuisce significato emotivo a informazioni e stimoli provenienti sia dal mondo esterno che dall’interno del corpo e dal cervello, come pensieri e ricordi. Le proiezioni dell’ippocampo (= dal greco: hippos = cavallo, kàmpe = bruco; cioè a forma di cavalluccio marino) sull’amigdala consentono una modulazione della sua azione. È un circuito bidirezionale, l’amigdala può inviare proiezioni all’ippocampo e da qui raggiungere le aree corticali che l’hanno precedentemente attivata, influenzando così pensiero, percezione e memoria. Il complesso ippocampo-amigdala rende conto dell’influenza reciproca tra valutazione emotiva ed elaborazione cognitiva.
Clima e geografia, violenza e dolcezza, parole ed emozioni sono ambienti che ci plasmano profondamente. L’essere umano è un animale sociale e come tale ha un bisogno essenziale di relazioni emotive per sviluppare il suo sistema neurosensoriale.
L’impatto dell’ambiente non ha lo stesso effetto su un bambino o su un adulto, e differisce a seconda della costruzione fisica e mentale di ciascuno. Quello che siamo oggi non è quello che saremo domani, segnato, vissuto e spesso ferito dall’esistenza.
Siamo il prodotto di un ambiente, che agisce su di noi in modo multifattoriale, secondo varie scale. Ma questo rapporto è reciproco: a nostra volta possiamo, e dobbiamo, agire e modificare questo ambiente che ci plasma fin dalla vita intrauterina. L’enorme resilienza degli esseri viventi ci consente sempre di cambiare il modo in cui l’ambiente ci ha costruito.
Cyrulnik nella sua psicoecologia unisce diverse discipline: sociologia, paleoantropologia, storia e neuroscienze per costruire un ragionamento ecosistemico che consideri ogni effetto come il prodotto di più cause.
In contrapposizione a Descartes che definisce l’anima priva di sostanza, le conoscenze odierne ci insegnano che le parole modificano il corpo ed il cervello.
Pessimismo o ottimismo non hanno nulla a che fare con la realtà. Sono una funzione della rappresentazione che abbiamo della realtà. Siamo noi esseri umani che costruiamo la nostra realtà e il linguaggio, la parola e le relazioni sono ambienti energetici in cui la nostra idea individuale di realtà prende forma.
In questa epoca di pandemia, dopo un primo lockdown vissuto con patriottismo ed entusiasmo, ora, in questa seconda fase che si prospetta come interminabile, il nostro sistema di relazione è stanco, logorato e compromesso.
Ci siamo abituati a vedere l’altro come un nemico, possibile portatore di infezione, abbiamo cancellato la nostra identità coperti da maschere che fanno intravedere solo gli occhi, ci stiamo autoprivando della stretta di mano, dell’abbraccio e del calore della relazione, stiamo inaridendo la nostra anima in un processo che potrebbe diventare irreversibile portando ad esiti molto più infausti della pandemia virale come la depressione, il suicidio e la malattia fisica.
Accanto al comitato degli scienziati occorrerebbe un comitato di neuropsichiatri in grado di saper filtrare e modulare le notizie senza compromettere l’integrità psichica individuale.
Dominique Picard specialista in relazioni sociali sostiene che la reclusione porti via gli attributi che costituiscono la nostra identità di gruppo.
L’identità, l’immagine che abbiamo di noi stessi e del gruppo a cui apparteniamo, si materializzano nel modo in cui siamo, nel vestire, nel vivere. Senza queste abitudini di vita, senza orari, perdiamo parte della nostra identità.
Questa reclusione sembra meno sopportabile della prima.
Le persone ora parlano molto in termini di io, mentre un tempo c’era un noi. Quando andiamo oltre un certo livello di preoccupazione, vediamo solo ciò che ci riguarda, non abbiamo più la possibilità di mostrare solidarietà. La cosa più grave è che non abbiamo una data di fine specifica. Non possiamo fare il conto alla rovescia.
“Gli adolescenti attualmente isolati saranno gravemente compromessi: perderanno un secondo periodo sensibile della loro esistenza. Un numero significativo di giovani è già entrato in depressione, intorpidendosi davanti agli schermi dei computer per studiare, giocare e comunicare. Dobbiamo trovare rapidamente modi per stimolarli… Oggi c’è una responsabilità politica e culturale sulla modificazione del nostro ambiente e sull’effetto che questo produrrà sui singoli.” (Boris Cyrulnik).
Uomini e donne, padri e madri, vedono i rispettivi luoghi sconvolti da una situazione nuova che stravolge i modelli tradizionali del maschile e del femminile e che ridistribuisce l’identità e il ruolo di ciascuno nella coppia e nella famiglia.
Boris Cyrulnik è stato il primo neuropsichiatra a organizzare in Francia gruppi di ricerca sul principio della resilienza. In particolare gli è stata affidata da Emmanuel Macron, nel settembre 2019, la presidenza del Comitato dei 1000 primi giorni del bambino, periodo fondante nello sviluppo, che ha dato origine a un ampio lavoro presentato nel settembre 2020.
Ma cosa si intende per resilienza psicologica? La capacità di affrontare e riorganizzare in maniera positiva la propria vita dopo aver subito eventi particolarmente negativi e traumatici. Essa è influenzata da fattori, individuali, sociali e relazionali, la complessità ed interazione dei quali può determinare, in condizioni traumatiche di stress prolungato, due diversi esiti: alcuni individui riescono ad uscirne senza riportare effetti negativi a lungo termine, trovando la forza di andare avanti arrivando in molti casi ad essere capaci di trasformare l’evento negativo subito in una fonte di apprendimento che consente di acquisire competenze utili per migliorare la propria vita; altri soccombono sotto la pressione esercitata dall’evento traumatico, arrivando in alcuni casi a sviluppare vere e proprie psicopatologie.
In questo periodo, secondo Boris Cyrulnik, la connotazione dell’aggettivo felice richiede abilità, senno di poi e cautela. Nella relazione, nella famiglia, al lavoro – quando ancora si ha per fortuna un lavoro – nel quadro delle pratiche sociali, culturali e amichevoli, quando a ciascuno di noi viene chiesto: come essere felici? Con chi? Per quali scopi? E a quali condizioni? Le risposte sono condizionate dalle notizie sanitarie e sociali che possono ostacolare o seppellire, ma anche risvegliare, nutrire, l’accesso alla felicità, alla gioia e al benessere.
La nostra cultura ha perso la bussola, navighiamo a vista, scossi dagli eventi, vagando dove ci porta il vento. Dobbiamo fare un passo indietro, perché abbiamo appena capito che l’essere umano non è al di sopra della natura, non è superiore agli animali, è egli stesso parte della natura. Il dominio di quest’ultima, che fu un adattamento per la sopravvivenza, oggi produce infelicità.