Su una cosa si può essere tutti d’accordo, la pandemia di Covid-19 ha inesorabilmente cambiato il nostro modo di vivere.  Le nostre abitudini quotidiane si sono modificate e l’emergenza sanitaria ha prodotto un vero e proprio stravolgimento nei rapporti interpersonali, nei consumi, nelle modalità lavorative e anche in cucina. E se lo smart working impiegato su larga scala rappresenta ormai l’innovazione nella gestione del lavoro, gli acquisti on line e la consegna a domicilio l’evoluzione del commercio, anche il nostro rapporto con il cibo ha totalmente cambiato faccia. 
Dalla fuga dei fornelli tra apericene e pasti pronti da consumare sul divano dopo una giornata fuori casa si è passati a un ininterrotto cook@home. Mai come ora tv, radio, carta stampata, social network sono diventati racconto da cibo-mania. 

Un cambio di passo dettato per lo più dalla necessità di chiusure in casa forzate che però ha rimesso letteralmente le mani in pasta degli italiani, assumendo quasi una forma maniacale. Secondo un’analisi di Coldiretti su dati del Crea (Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione) Il 44 per cento degli italiani è aumentato di peso a causa della pandemia, circa due-tre kg in più. Il motivo? Un’ordalia di zuccheri, grassi e carboidrati.

Se alimentarsi è un bisogno fisiologico primario, il cibo però non ha solo un valore nutritivo. Ma anche piscologico e sociale. Nel cibo si cerca conforto e nel nostro modo di interagire con esso attuiamo quel meccanismo consolatorio con cui si cerca di colmare un vuoto. Gli psicoterapeuti sanno bene come le emozioni e i traumi si riflettano nel corpo, e il mangiare è strettamente legato alle gratificazioni affettive negate: il cibo prende subito il posto delle carezze e degli abbracci. Può diventare, e spesso accade, una gratificazione compulsiva e irrazionale per compensare uno stato di frustrazione dovuto a cause non alimentari. Quella che comunemente viene definita fame nervosa.

Il rapporto con il cibo è un comportamento complesso, influenzato da aspetti fisiologici come la sensazione di fame, sete, senso di sazietà e non rappresenta soltanto un mezzo per nutrire il corpo. Ha una valenza emotiva, psicologica, simbolica, sociale e tende ad influenzare i nostri stati d’animo.

L’alimentazione condiziona la nostra vita fin dalla nascita, è il primo strumento e la prima forma di relazione che si instaura con il mondo esterno attraverso la madre. 

Provare piacere nel mangiare (gratificazione) è un meccanismo fisiologico legato ad un istinto primario, che, assieme ad altre forme di piacere, ha garantito per centinaia di migliaia di anni la sopravvivenza della specie umana. Ma gli sviluppi culturali e sociali hanno fatto sì che esso non sia più un fenomeno unitario, seppure il livello di base rimane quello fisiologico legato al piacere di far cessare la fame, a questo si sono via via sovrapposti livelli più elevati.

Nel rapporto con il cibo è fondamentale il sistema della gratificazione, il cosiddetto brain reward system: il sistema di ricompensa composto da una serie di strutture neurali responsabili della motivazione, delle emozioni positive del piacere. Questo avviene attraverso il sistema oppiaceo, cannabinoide e GABAergico che regola le risposte allo stress e induce benessere. Il professor David J. Linden, neuroscienziato e docente alla Johns Hopkins University di Baltimore nel suo libro La bussola del piacere, definisce in questo modo l’insieme di neuroni e connessioni cerebrali che danno vita al sistema della ricompensa.  E sostiene che “condividiamo questa bussola anche con altre specie, ma solo la nostra riesce a ricavare piacere da attività non collegate in modo diretto alla propria sopravvivenza. Questa peculiarità porta la neurobiologia del piacere a invadere prepotentemente la sfera sociale”
Alcuni cibi sono in grado di stimolare fortemente il sistema della ricompensa, il cosiddetto comfort food come pane, pasta, pizza, cioccolata, patatine, dolciumi vari, ecc. Alimenti questi che permettono il rilascio, all’interno del nostro organismo, di sostanze oppioidi e di dopamina (neurotrasmettitore) fino a determinare l’effetto addiction, dipendenza da cibo.  

Con lo sviluppo delle neuroscienze sono diventati noti i meccanismi molecolari e i centri del sistema nervoso centrale coinvolti in questo processo che ha il cibo come primum movens. Dal sistema limbico, ai neuroni a specchio fino alle vie della memoria. Un sistema molto complesso di cui fanno parte il Nucleo Accumbens, situato negli emisferi cerebrali e l’Area Tegmentale Ventrale, un gruppo di neuroni localizzato nel mesencefalo che regolano il meccanismo del compenso attraverso la modulazione della plasticità neuronale che induce la memorizzazione dell’effetto benessere. La quantità di dopamina che viene rilasciata in questo processo è proporzionale alla palatabilità o gradevolezza. Si innesca una nuova ricerca dello stimolo gratificante al ricordo emotivo o allo stimolo visivo, olfattivo, gustativo che lo evoca. Questo circolo vizioso, di cui fa parte il circolo della dipendenza, è normalmente tenuto sotto controllo dalla corteccia prefrontale. L’iperattività di questo circuito innescata dallo stimolo che evoca il ricordo della gratificazione, in particolare in relazione a cibi calorici, sembra essere alla base dell’obesità.

A dare un volto neurobiofisiologico a questo meccanismo alquanto complesso, che lega l’alimentazione a una serie di fattori psico-emotivi, sono stati alcuni studi effettuati con la fMRI (Risonanza magnetica funzionale). La fMRI ha evidenziato che l’attivazione delle aree del cervello associate alle sensazioni di desiderio e motivazione è uguale in entrambi i casi. Così accade che nel momento in cui si pensa a un piatto si ha una aspettativa del sapore influenzata dalla memoria, e si attivano le stesse aree cerebrali che si attivano quando si assapora quel cibo.

Non solo il tipo di cibo, il suo odore o le sue caratteristiche organolettiche ma anche il contesto, come l’ambientazione, una musica di sottofondo, il colore e la dimensione dei piatti, in cui lo stesso cibo viene consumato, modificano la nostra relazione e reazione ad esso in termini di gradevolezza o disgusto, sazietà, emozione o rifiuto.

Il sapore di un cibo o una bevanda, per esempio il vino, dipende fortemente dal profumo, dalla temperatura, dal colore e dalla densità, proprio perché tutti i sensi sono coinvolti a dare la giusta sensazione di ciò che chiamiamo gusto, palatabilità. Vi sono infatti meccanismi neurobiologici che regolano i sapori agli odori. Gordon M. Shepherd, professore del dipartimento di Neurobiologia di Yale, neuroscienziato e padre della neurogastronomia, nello studio pubblicato sul suo volume How the brain creates the taste of wine, edito dalla Columbia University Press sostiene che “il sapore è nel cervello e non nel cibo, la percezione del gusto è un processo complicato che coinvolge i cinque sensi, ma anche memoria, emozioni e ricordi”.

Il rapporto tra cibo e mente è quindi bidirezionale. Non solo l’umore ci guida a scegliere cosa mangiare ma anche il cibo che ingeriamo condiziona i nostri stati d’animo. Gli alimenti che ingeriamo vengono utilizzati non solo per costruire fisicamente la parte materiale del nostro corpo ma anche la parte emotiva. Diventa importante il come, il contesto, non solo il cosa e il quanto per il benessere emotivo. E sia quando prepariamo che quando consumiamo un pasto si attivano quindi sistemi complessi come la memoria, le emozioni, le motivazioni e il senso di ricompensa. Tutti segnali che sono interpretati dal lobo frontale dell’encefalo ed è lui che decide quanto e quando smettere di mangiare.

Il piacere da istinto primario per la sopravvivenza si trasforma in un’esperienza articolata, modulata da ricordi precedenti di esperienze positive, dall’essere in relazione con altre persone, fino a diventare un’esperienza del tutto astratta. Ed è così che il cibo si fa banchetto o il bere momento sociale per placare le nostre emozioni attraverso lo stomaco. Chissà se non si celi in tutto questo complesso meccanismo il perché delle polemiche innescate in questi giorni, e quasi diventate un affare di Stato, su cenoni e pranzi natalizi, nonostante dovremmo ormai tutti essere più che consapevoli delle precauzioni che occorrono per cercare di tenere a bada questa pandemia.

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