Volevo essere Peter Parker ma poi, un giorno, ho iniziato a leggere la vita tra le righe, applicando miti, filosofie e leggende a tutto ciò che mi circonda. Tutto è applicabile a tutto, proprio come la realtà diviene applicabile al digitale attraverso un videogioco. Ho pensato e ripensato spesso a come tutta la luce che circonda il mito videoludico abbia potuto raggiungere vette tanto alte in così pochi anni di esistenza. Impossibile arrivare ad una conclusione perfetta, definitiva; ma ci si può ragionare, questo sì.

Sono cresciuto con la testa fra le nuvole, ad interrogarmi su qualsiasi cosa, anche grazie ai videogiochi. È forse anche per questo che mi ritrovo qui, pixel su foglio digitale, a scrivere pensieri sfusi alle 8 di mattina. Studiai Platone e la sua filosofia, ed oggi riesco forse a ricondurre uno dei suoi più grandi miti al mondo videoludico.

Niente di più lontano, di più diverso, penseranno molti; ma non è così. Contestualizziamo la cosa: anno 2000, ho sei anni e gioco al Game Boy Color osservando uno schermo (senza retroilluminazione, ed i miei occhi ringraziano ancora oggi!) dove sono impresse immagini bidimensionali, poco colorate e totalmente estranee alle forme reali degli oggetti che rappresentano. O meglio, non sono totalmente diverse, posseggono infatti quegli elementi caratteristici che possono farmi ricondurre, attraverso uno sforzo mentale ed immaginativo, quell’agglomerato di pixel ad un oggetto reale. Insieme ci sono suoni, effetti e musiche che riescono a creare contesto ed a darmi una quasi-reale sensazione di ciò che mi circonda – in senso figurato.

Cosa c’è di diverso, allora, tra le ombre proiettate sulla parete rocciosa della caverna e degli agglomerati di pixel? Assolutamente nulla. In entrambi i casi, infatti, c’è bisogno di uno sforzo immaginativo considerevole per poter interpretare quelle forme (e quei suoni) per ricondurli a qualcosa di vagamente vicino alla realtà che conosciamo.

Il moderno mito della caverna che vi presento, però, muta nel suo svolgersi, più che per principio. Mentre gli uomini della caverna raggiungono l’illuminazione una volta presa coscienza della realtà, i gamer che si apprestano ad abbandonare quell’impegno mentale di interpretazione verso lidi più limpidi e spudoratamente vicini alla realtà non fanno altro che allontanarsi dal concetto più puro e semplice del videogiocare: immaginare.

Mentre dunque, nella realtà, l’illuminazione è raggiungibile attraverso la consapevolezza del mondo circostante, nel virtuale questa si compie nell’atto dell’immaginare. Immaginare, sognare, impersonare, sono tutti atti che si pongono come fondamenti basilari dell’esperienza di qualsiasi videogioco. Infatti, che un prodotto voglia veicolare o meno un messaggio al suo fruitore, questo richiederà sempre ed inesorabilmente al suo pubblico di: immaginare un frame sensoriale diverso dal consueto; sognare, fingere, dare per vero un contesto fittizio ed intangibile; impersonare, ovvero indossare i panni di qualcos’altro lontano dal proprio essere reale.

Seppur iperrealistici, dotati di grafiche incredibili e capaci di suscitare emozioni e sensazioni reali nei giocatori, i videogiochi non abbandonano mai il loro frame di base, cercando di spingere il proprio pubblico verso uno sforzo mentale capace di rendere l’esperienza di gioco davvero efficace.

Questo concetto può ricordare quello già espresso da Umberto Eco di un certo patto narrativo che ogni lettore stipula con lo scrittore (indirettamente) ogni volta che si appresta a leggere una sua opera. Il moderno mito della caverna ci dice che i videogiochi sono storie, sono frutto dell’interpretazione di ognuno e di conseguenza rappresentano un qualcosa di diametralmente opposto alla realtà.

In maniera simile alle ombre proiettate sulla parete rocciosa della caverna descritta da Platone, i videogiochi sono luci impresse sui nostri schermi – piccoli, grandi e medi – e ci raccontano qualcosa in cambio di un nostro personale impegno mentale di interpretazione. Se nel mito platonico l’illuminazione è raggiunta tramite la presa di coscienza della realtà circostante, nel moderno mito della caverna questa viene concepita nel patto narrativo tra giocatore e gioco. Dal momento che io gioco, stipulo un accordo col prodotto che ho davanti accettando di utilizzare la mia mente e la mia intelligenza per interpretare al meglio ciò di cui faccio esperienza.

Con un sillogismo aristotelico, per concludere, si può osare dire che, dal momento che un videogioco richiede un patto narrativo col suo fruitore, questo è a tutti gli effetti una narrazione. Di conseguenza, ogni videogioco può arricchirci, aprirci la mente, facendoci interpretare vite impossibili, ed aiutandoci ad immaginare ben oltre l’impossibile, sempre.

Esempi pratici: Metamorphosis ed Assassin’s Creed
Quanto detto fino ad ora lo si può sperimentare nella maggior parte dei videogiochi, ma tra le uscite recenti c’è un titolo davvero interessante, che pone il proprio pubblico davanti ad un classicissimo patto narrativo ripercorrendo la metamorfosi kafkiana attraverso una libera interpretazione dell’opera da parte degli sviluppatori. 


Si chiama Metamorphosis, un titolo indipendente uscito la scorsa estate in cui si interpreta in prima persona lo scarafaggio della Metamorfosi in un mondo normalmente a misura d’uomo, ma fin troppo grande per un piccolo insetto. Tutto è reso difficile da fare, perfino arrivare allo scaffale più basso di una libreria; la cosa interessante? Senza una grafica hollywoodiana né un comparto tecnico di prima categoria, riesce a farti immedesimare nei panni di uno scarafaggio con una profondità incredibile. Quindi oltre a narrare una storia, riesce a trasmettere anche sensazioni nuove, che non potresti mai provare realmente – non sarai mai un insetto, ma sai cosa prova un insetto.

Questo è il potere narrativo dei videogiochi, un mondo in cui nulla è reale e tutto è lecito, come recita l’iconica frase-motto di Assassin’s Creed, in cui l’intera azione si svolge in un concorso di embrayage e debrayage continui tra presente e passato. Un altro titolo capace di narrare storie altrimenti impossibili da vivere in prima persona. Nel capitolo più recente, Valhalla, si impersona un vichingo alle prese con la sua opera di conquista in una rievocazione del tutto fedele alla storia originale, con qualche aggiunta fantasy, che non guasta mai.

Ora avete tutto, istruzioni per l’uso e videogiochi; non vi resta che giocare!

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