Sappiamo bene che il gaming è oggi uno strumento che coinvolge un pubblico assolutamente trasversale per età, gusti, attitudini, anche qui ne abbiamo parlato molto anche raccontando case history vari.

Se utilizzati in modo intelligente, gli strumenti della contemporaneità, compresi ovviamente anche i social, possono diventare leve importantissime per la trasmissione di conoscenze, l’acquisizione di abilità da utilizzare nel mondo reale e sviluppare il pensiero critico nel giocatorə.

Pensate che Yee & Bailenson, psicologi della Stanford University, hanno individuato un Effetto Proteus, ossia la tendenza ad adattare il nostro comportamento in base all’avatar virtuale che durante il gioco si sta incarnando: le scelte della autorappresentazione online influiscono sul nostro comportamento (i risultati riportati dalla ricerca follow-up dimostrano che tale cambiamento comportamentale si trasferisce successivamente dal mondo virtuale al reale).

Il gaming può diventare quindi un mezzo eccezionale per contrastare pregiudizi, bias cognitivi, stigma e stereotipi legati a credenze e comportamenti razzisti, omobitransfobici, bullizzanti, intolleranti, violenti, aumentando al contrario conoscenza, empatia, tolleranza, consapevolezza (a tal proposito, consiglio fortemente A Review of Indie Games for Serious Mental Health Game Design, testo recentissimo).

Ci sono una serie di giochi indie, ossia gli independent games, giochi da garage, che hanno fatto la loro fortuna pur senza essere Triple-A, cioè lanciati sul mercato da grandi industrie del settore come Electronic Arts, Microsoft, Sony ecc.

Tra il 2008 e il 2010, infatti, grazie all’evoluzione delle piattaforme per la distribuzione digitale, alcuni videogiochi indipendenti sono diventati successi commerciali pazzeschi. Qualche esempio? Amnesia: The Dark DescentBraidWorld of GooMinecraft.

La caratteristica dei giochi indie è l’assenza sia dei budget enormi dei Triple-A sia di un team di lavoro numeroso: di solito dietro al gaming indipendente c’è una sola persona o piccoli gruppi spontanei, animati da forti motivazioni e grande creatività, con una libertà di esplorare argomenti e di utilizzare termini che le compagnie di giochi più grandi solitamente evitano. Dunque ci guadagnano sicuramente in quoziente di innovazione.

I personaggi indie hanno sempre caratteristiche complesse, rappresentano situazioni sfaccettate e nell’interazione col giocatorə offrono esperienze di spessore e di grande umanità, di solito senza rappresentazioni stigmatizzanti.

Nei giochi indie sono praticamente assenti bias sulle persone che convivono con problemi psicologici, sulle minoranze razziali, sulle persone LGTBQ+, e anzi compaiono storie legati all’identità di genere, alla terapia ormonale, alle malattie sessualmente trasmissibili, al transgenderismo, al coming out, al matrimonio delle coppie LGTBQ+, alla sessualità.

Oggi vi suggeriamo Coming Out Simulator e Conversations We Have In My Head, i nostri must per giocatori e giocatrici che abbiano voglia di edutainment e infotainment, ossia di informarsi e formarsi sui grandi temi della contemporaneità senza rinunciare al divertimento.

Il primo è stato ideato da Nicky Case ed è autobiografico: il giocatore si identifica con Nick stesso, omosessuale alle prese con il suo coming-out con i suoi genitori (tema centrale per molte persone LGBTQI+ anche in Italia, tanto che la cantante Ariete ha ospitato sul palco una ragazza proprio per incoraggiare i più giovani).

Ariete

Il secondo gioco è invece progettato da Squinky, sempre autobiografico: tema identità di genere, esplorato attraverso il dialogo che Quarky, persona genderqueer, mete in piedi con Lex, ex di Quarky, anch’esso di genere non binario (interpretato dal giocatorə). Gioco fortemente educativo perchè permette a chi gioca di acquisire competenze, consapevolezza e sensibilità sulle preoccupazioni di come si è percepiti dalle persone che ci circondano ma anche sui soffocanti conformismi, sulle discriminazioni in famiglia.

Sono due giochi che offrono la possibilità di trasformare le proprie credenze errate semplicemente giocando, vestendo i panni del protagonista: si chiama risposta emotiva di affiliazione quella in grado di stimolare la messa in discussione di pregiudizi disfunzionali. Non resta allora che giocare!

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