Nello scorso articolo, attraverso John Wyndham, ho cercato di capire perché l’idea di un virus letale creato in gran segreto in laboratorio sembra avere più appeal del concetto di spillover – o salto di specie – nonostante da tempo diverse fonti scientifiche enumerino le malattie di origine animale (il 70%) e segnalino che il trend è in aumento. Nel Giorno dei trifidi serpeggiano sia la paura degli esperimenti sfuggiti al controllo di un nemico (l’U.R.S.S.) sia la paura che i fini commerciali per cui si coltivano i trifidi facciano scivolare un po’ troppo in secondo piano i loro aspetti pericolosi. Erano gli anni Cinquanta: ce n’è per il blocco sovietico e per il blocco capitalista.

Oryx and Crake invece, primo volume della Trilogia di Maddaddam di Margaret Atwood uscito nel 2003, è figlio della globalizzazione e del neo-liberismo. L’ho già citato volte fa come esempio di una catastrofe che invece di lasciare impotenti e paralizzati fa tirare al lettore quasi un sospiro di sollievo. Crake – una specie di Sheldon Cooper di The Big Bang Theory meno buffo e più dark – inventa un virus che stermina quasi tutti gli homo sapiens. L’eccezione è Jimmy, il narratore e migliore amico al quale Crake lascia l’arduo compito di guidare i nuovi esemplari umani che lui stesso ha creato in laboratorio. Donne e uomini geneticamente migliori.

Non è un grande spoiler: che Crake è responsabile di un’apocalisse e ha risparmiato Jimmy perché guidi i suoi Crakers lo si capisce da subito.

Chi di voi è familiare con le supposizioni di studiosi come Mauro Biglino, riconoscerà immediatamente come Margaret Atwood giochi con l’idea dell’homo sapiens nato dall’ingegneria genetica degli Elohim, che non è un plurale che indica Dio, ma probabilmente una parola antica che potrebbe – fra le varie ipotesi – denominare un gruppo di alieni rappresentanti di una civiltà più avanzata. Qua la storia, sarcasticamente ciclica, si ripete: Crake è il nuovo Elohim e Jimmy è il suo Mosè.

La cosa affascinante però è che in Crake è totalmente assente la cialtronaggine dei capitalisti che giocano con il fuoco di Wyndham, né si tratta di un nemico esterno come l’Unione Sovietica. Al contrario, lo scienziato sa benissimo cosa sta facendo, pianifica anche la sua morte e ottiene esattamente il risultato che desidera. E più che un nemico interno, se è vero che ogni cultura modella i propri rappresentanti, Crake rappresenta l’essere che più perfettamente incarna il suo mondo. Un mondo che, appunto, è talmente brutto che la catastrofe al lettore dà sollievo.

Il contesto è il nostro portato all’estremo: pochi ricchi, molti poveri. I ricchi vivono in Compounds, i poveri in baraccopoli. I ricchi sono quasi tutti scienziati perché l’arte e le humanities hanno pochissimi posti di rilievo in questo tipo di società e gli umanisti sono generalmente considerati degli stupidotti inutili e perdigiorno. I poveri vivono alla giornata, circondati da criminalità e ogni possibile business legato allo sfruttamento sessuale. Nei Compounds si creano degli abomini genetici: razze animali razionalizzate, polli senza cervello, occhi e becco ma fatti di solo petto per l’industria alimentare ed esperimenti su esseri viventi di ogni tipo. L’essere umano, insomma, gioca pesantemente con la vita. Gli adolescenti dei Compounds sono talmente alienati da nutrirsi di siti di suicidi, snuff movies con umani e animali, porno, pedo-porno, esecuzioni e qualsiasi cosa che dia un briciolo di eccitazione (e qua il J. G. Ballard di Crash ha fatto scuola). Gli adolescenti poveri di solito delle violenze hanno esperienza diretta. Oryx ad esempio è una Indocinese che a sette-otto anni faceva la porno attrice.

Crake invece è un brillante scienziato con alle spalle un padre misteriosamente ucciso perché aveva scoperto che l’industria farmaceutica per cui lavorava, per mantenersi in crescita, creava anche malattie. Al contrario di Jimmy, che precocemente è segnato dallo stigma della propensione umanistica, Crake è sempre stato forte nelle materie scientifiche e non ha mai fatto trapelare emozioni. Ha frequentato la migliore delle scuole – la Watson-Crick come gli scienziati del modello della struttura del DNA – dove molti allievi hanno la sindrome di Asperger, quasi tutti si sentono superiori per le formule che sanno decifrare e perché manovrano le sorgenti della vita senza mai trascurare il lato commerciale (utile) delle loro scoperte. Lo Student Office della Watson-Crick offre perfino prostitute – preferenze costumizzabili – così da incentivare la razionalizzazione del tempo – e l’alienazione.

In tutto questo primo libro di Margaret Atwood non è chiaro se Crake nasconda per tutto il tempo una sorta di missione eroica – salvare la Terra dagli homo sapiens. Forse sì dato che la sua idea è sviluppata assieme al team di Maddaddam i cui membri portano nomi di battaglia di specie estinte. Lo farebbe credere anche il fatto che per fare da guida alle sue creature lui sceglie il suo amico umanista, non schiavo dell’utile e sempre al limite dell’inserimento in società. Quello che invece è lampante è che in una società in cui l’umano manovra imprudentemente la vita e nella quale si scoraggiano la riflessione e la creatività delle humanities come contraltare, è quasi logico che a un certo punto nasca un essere talmente integrato in questo delirio di onnipotenza da voler ripopolare il pianeta con sue creature. Un Elohim, un Dio.

Crake quindi rappresenta la terza ragione per cui a livello inconscio l’idea di un virus da laboratorio riceve plauso. Stavolta non sono i capitalisti pasticcioni, non sono i nemici esterni ma è la percezione degli elementi nocivi di aspetti cruciali e istituzionalizzati della nostra cultura. Il nostro presente non è poi tanto differente dal mondo di Oryx and Crake. Non c’è – almeno in Europa – tutta questa enfasi sull’ingegneria genetica ma manovriamo imprudentemente la vita in un’altra maniera.

La nostra è una cultura di contraddizioni: ci spinge a migrare verso le città ricche di occasioni lavorative ma, come dicevamo per Milano, poi si scopre che a livello di resilienza è più facile che una città caotica e inquinata indebolisca il fisico o che lavorativamente parlando il mercato sia più saturo. Si biasima il debito ma in un’economia di debito-credito-crescita è impossibile che ci sia crescita senza debito. Si spinge al consumo per la crescita economica come se le risorse disponibili fossero davvero infinite e la distruzione degli ecosistemi e gli inquinamenti che ne sorgono non ci toccassero. Si colpevolizzano i poveri quando è lo stesso sistema che li crea. Si punta il dito contro i social che creano gruppi di appartenenza per affinità sempre più rabbiosi quando gli algoritmi seguivano solo le classiche leggi di fideizzazione al prodotto. Non ci sono i polli-mostro fatti di solo petto ma c’è la macchina trita-pulcini maschi. La farmaceutica poi ha inevitabilmente anche un lato orientato al profitto, come ogni branca imprenditoriale.

Ecco, le persone possono non essere coscienti di queste contraddizioni ma l’idea che qualcuno in alto non dica qualcosa, non sia interamente trasparente è parte della nostra società. E quanto a chi non ha un’idea chiara delle fonti affidabili o dubita di tutto per non sbagliare, o crede a complottismi esagerati o fantasiosi o infine – e qua torniamo al virus in laboratorio – crea la sua gerarchia di ipotesi che spesso non coincide con i dati degli studiosi (che del resto sono i primi a subire la diffidenza). Non ci si fida dei Crake di oggi: rappresentanze istituzionali perfettamente integrate messe in discussione anche quando (spesso) si tratta solo di sospetti di pancia. Il populismo in questa sfiducia ci ha pescato a man bassa.

D’altra parte se ci si orienta con le fonti affidabili la cultura neo-liberista che crea i Crake di oggi, come nel libro di Margaret Atwood, di certo non risulta maggiormente degna di fiducia.

Mi ha fatto molto ridere il fatto che il virus si chiami JUVE. Un nome che orecchia alla gioventù è perfetto per un microrganismo che porta la morte. Mi chiedo se Margaret Atwood abbia pensato al suo pubblico italiano.

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