(English translation below)
Scorrendo alcuni miei precedenti articoli riguardanti la tendenza principale della letteratura italiana dagli anni Cinquanta ad oggi – il realismo sociale – mi rendo conto che l’idea sbagliata che può farsi il lettore è che a me questo genere abbia davvero scocciato e che invece io sia una grande fan dell’approccio speculativo. Non è proprio così, il discorso è più complesso e soprattutto ha poco a che fare con i miei gusti.

Riavvolgiamo allora il nastro: perché si scrive cli-fi? Sotto questa etichetta vengono classificate narrazioni più disparate: letteratura di genere, grandi autori, thriller, fantascienza, post-apocalittico e chi più ne ha più ne metta. Le caratteristiche comuni sono ideologiche: chi utilizza la cli-fi si rende conto della minaccia rappresentata dal cambiamento climatico antropogenico e punta a creare un immaginario per innescare consapevolezza nel lettore riguardo a ciò che verosimilmente accadrà in futuro. Creare immaginario nel 2021 è difficile, questo giustifica la moltitudine di tentativi: alcuni vanno a segno, altri meno. Ogni medium gareggia per attirare la nostra attenzione e accattivare la nostra fantasia: la concorrenza è spietata.

Se c’è una cosa su cui ad oggi il consenso è abbastanza generale è il dubbio sull’efficacia del post-apocalittico ansiogeno. È più facile che la famosa eco-ansia paralizzi piuttosto che chiamare all’azione. L’effetto è un po’ quello che un maestro della nevrosi – Woody Allen – mette in scena in Io e Annie: il piccolo Allen bambino depresso e bloccato perché l’universo si sta dilatando. Ecco mettiamola così: quando la cli-fi crea un effetto-Allen manca al suo fine.   

Quanto al resto, come scrive anche Joha Raipola in un articolo sul Nordic Journal of Science Fiction, la cli-fi:

“può essere tipicamente esaminata o come rappresentazione realistica (mimetica) o come visione speculativa del cambiamento climatico”.

Stesso fine della cli-fi, due modalità. L’approccio realistico viene descritto così: “Per creare l’illusione di realismo letterario, questo tipo di narrazioni hanno luogo in contesti piuttosto familiari nel presente o nel futuro relativamente prossimo, dove personaggi umani riconoscibili ponderano gli effetti del riscaldamento globale. Domande relative al cambiamento climatico vengono spesso fuori per bocca del narratore o di altri personaggi nei dialoghi mentre il mondo di fiction rimane quotidiano”. Alcuni ricercatori hanno cercato di capire quale delle due strade si dimostra più efficace. Tuttavia entrambe hanno diritto di vivere e stare sul mercato. È come se nel primo approccio gli autori scegliessero una via più astratta e visionaria, mentre nel secondo si preferisce fare leva su ciò che è familiare. Il vero problema scaturisce quando è un determinato mercato (e l’apparato culturale che a esso fa riferimento) che pende verso una via – minimizzando l’altra.

Il pensiero che l’assunto “distopia post-apocalittica: deprimente e paralizzante” è sbagliato mi è venuto leggendo le prime cento pagine di Oryx and Crake di Margaret Atwood. In effetti, Atwood alterna visioni di futuro a flashback del protagonista. Il futuro è catastrofico ma non mette ansia. Anzi, a tratti sembra di leggere Robinson Crusoe catapultato in un inquietante mesozoico e quel che il lettore sente è la spinta a prendere più sul serio il fai-da-te perché un domani può risultare molto utile. A tratti sembra di stare nel passato mitico della notte dei tempi. A tratti invece emerge ancora una volta la capacità profetica del pensiero utopico. Profetica fra virgolette, perché Atwood (come i grandi scrittori e le altre grandi scrittrici di distopia) basa le sue speculazioni su dati, in questo caso informazioni scientifiche, reali: la possibilità di pandemie, l’alterazione del non-umano e dell’umano, l’alienazione dilagante e resa spettacolo, gli effetti delle precipitazioni atmosferiche o dei raggi solari. Fa parte del gioco: chi sceglie la strada speculativa nell’affrontare il cambiamento climatico (e non solo) capta la possibilità di disastri prima che avvengano, calibrando bene l’effetto che l’immaginario che propone farà sul lettore. 

Atwood è una specie di alchimista altamente qualificata in questo senso, ma questo già lo sappiamo dai tempi di Handmaid’s Tale. In Oryx and Crake, nella parte ambientata nei flashback, raccogliendo il testimone di J.G. Ballard, di freddi pugni allo stomaco del lettore ne tira molti – ma mai senza uno scopo e mai per paralizzarlo. Tanto che si prova quasi sollievo che un disastro abbia cancellato quella società mostruosamente alienata che somiglia così tanto alla nostra. La conosciamo questa sensazione: rappresenta lo yang di uno yin che è l’impegno ecopolitico al fine di lavorare verso un cambio di mentalità generale. L’effetto che Orxy and Crake ha fatto e sta facendo su di me non è stato accrescere l’eco-ansia ma farmi sentire meno sola: il mio subconscio destruens è condiviso ed esorcizzato dal romanzo di una grande scrittrice. Perché questo dovrebbe farmi stare male?    

L’utopia è anche un’ideale di bene comune che uniforma la società e quindi – dato che ogni essere umano è unico – non può che sfociare nel totalitarismo e nella distopia. Niente da eccepire. Tuttavia il genere utopia non è solo questo. Quando sento autori nostrani che prendono le distanze da questo mezzo espressivo come se fosse inefficace o intrinsecamente reazionario non posso non pensare che si stia iper-semplificando. Alla base dell’utopia c’è il principio politico astratto che ognuno di noi ha in mente quando distingue malgoverno e buon governo, quando vota, quando si impegna nel sociale. Lo utilizziamo ogni volta che desideriamo che il futuro vada in una certa direzione. La distopia rappresenta invece la direzione che non vorremmo.

Quindi in contesti come quello italiano questo smarcarsi dalla speculazione utopico/distopica (spesso come se fosse un’accusa) sembra più un pregiudizio, probabilmente nato nel secondo dopoguerra in relazione al fascismo, da cui ci si dovrebbe a poco a poco distaccare. Il covid ha dimostrato che abbiamo un gran bisogno di essere preparati al futuro e agli scarti – anche bruschi e surreali – che questo avrà rispetto alla rassicurante routine del presente. La cli-fi speculativa, protesa in avanti, sarà anche meno rassicurante dell’approccio realistico, ma può anticipare il futuro rendendo il lettore preparato. Ed essere preparati, anche solo a livello di immaginario, rende meno fragili.

Ecco perché, oltre al punto filosofico che riguarda il pensare l’invisibile, vorrei vedere più letteratura speculativa in Italia – e più valorizzata. La sua scarsa presenza (e lo scarso incoraggiamento a produrla), reiterando tutta una serie di pregiudizi, preclude alla stessa letteratura italiana strade interessanti – che già esistono e si muovono in ambiti ristretti da sottocultura come l’ambito geek/nerd. Il fatto che negli ultimi due anni il problema del cambiamento climatico sia venuto alla ribalta prepotentemente – aiutato da Greta Thunberg e, ohimè, dal covid – credo che anche qui spingerà verso una richiesta di narrazioni che abbiano a che fare con questo tipo di tematiche. Già vedo che Anna di Ammaniti, la cui premessa è una pandemia dalla quale i bambini sono immuni, uscirà presto come serie televisiva. Dato che la letteratura italiana su questi temi è in ritardo di vari decenni rispetto al contesto anglosassone, sia dal punto di vista narrativo che da quello filosofico, urge veramente fare un discorso approfondito e mentalmente aperto su quali forme vogliamo far andare avanti per veicolare la questione. L’urgenza presente dovrebbe portare a non tralasciare nessuna strada che può portare buoni frutti. Non solo infatti l’Italia ha una tradizione fantascientifica e distopica mezzo-dimenticata, in cui si sono cimentati anche grandi autori come Primo Levi o Bianciardi per non parlare di Morselli, che può parare l’obiezione che i generi speculativi non rappresentino un contributo al discorso proveniente dal nostro substrato culturale, ma ha anche estremamente bisogno che si crei un immaginario futuro efficace su certe questioni che ci riguardano da vicino. La questione Venezia ad esempio.           

ENGLISH VERSION

United and never separated – we need both realism and speculative literature to tackle climate change

Scrolling through some of my previous articles concerning the main trend of Italian literature from the 1950s to today – social realism – I realize that the wrong idea that the reader can get is that I am fed up with this tendency and instead I am a big fan of the speculative approach. That’s not quite the case. The matter is more complex and, above all, it has little to do with my tastes.

So let’s rewind the tape: what’s the aim of cli-fi? We classify several types of narratives under this label: single authors’ novels, thrillers, science fiction, post-apocalyptic, and so on. The common characteristics are ideological: those who write cli- fi take the threat of anthropogenic climate change very seriously and aim to create imaginary to trigger awareness in the reader about what is likely to happen in the future. Creating imaginary in 2021 is difficult, this justifies the multitude of attempts: some are successful, others less so. Each medium competes to get our attention and to captivate our imagination: competition is fierce.

If there is one thing on which the consensus is fairly general today, it is the doubt about the effectiveness of the post-apocalyptic anxiety-producing. The famous eco-anxiety is more likely to paralyze than to call to action. The effect is a bit like what a master of neurosis – Woody Allen – describes in Annie Hall : little Allen, depressed and stuck because the universe is expanding. Let’s put it this way: when cli-fi creates an “Allen-effect” it is missing its purpose.

As Joha Raipola also writes in an article on the Nordic Journal of Science Fiction, cli-fi: “may typically be examined as representing either a “realistic” (mimetic) or a speculative vision of climate change.”. Same end, two ways. The realistic approach is described as: “To support the illusion of literary realism, these narratives are set in relatively familiar surroundings of the present-day or a very-near-future world, where recognizable human characters ponder the effects of global warming. Questions relating to climate change are usually brought up by the narrator or the characters in their dialogue, while the fictional world itself remains mostly quotidian.”. Some researchers have tried to figure out which of the two approaches proves more effective. However, both of them have the right to live and to stay in the market. If in the first approach the authors choose a more abstract and visionary path, in the second they prefer to leverage what is familiar. The real problem arises when a certain market (and the cultural apparatus that refers to it) leans towards one approach – diminishing the other.

The thought that the “post-apocalyptic dystopia: depressing and paralyzing” assumption is wrong came to me while reading the first hundred pages of Oryx and Crake by Margaret Atwood. Indeed, Atwood alternates future visions and flashbacks of the protagonist. The future is catastrophic but does not cause anxiety in the reader. In certain parts, it seems to read Robinson Crusoe catapulted into a disturbing Mesozoic and what I felt is rather the urge to take DIY more seriously because tomorrow it can be very useful. In certain other parts, the action seems to take place in the mythical past of the mists of time. The “prophetic” capacity of utopian thought emerges undoubtfully. “Prophetic” in quotation marks because Atwood (like other great dystopian writers) bases her speculations on real data, in this case scientific information: the possibility of pandemics, the alteration of the non-human, the alteration of the human body, rampant alienation, the increasing numbers of shocking shows about on-air death, the effects of atmospheric precipitation or sunlight. That’s part of the game: those who choose the speculative path in dealing with climate change (like anything else) perceive the possibility of disasters before they happen, well calibrating the effect that their imagery will have on the reader.

Atwood is a highly skilled alchemist in this sense, but we already know this from the days of Handmaid’s Tale. In Oryx and Crake, in the part set in the flashbacks, picking up the witness of JG Ballard, she throws many cold punches in the reader’s gut – but never without a purpose and never to paralyze him/her. So much so that one feels almost relieved that a disaster has wiped out that awkwardly alienated society of the past that looks so much like ours. We know this feeling: it represents the yang of one yin which is the political eco-commitment aiming towards a general change of mentality. Orxy and Crake did not increase my eco-anxiety instead it made me feel less alone: my destruens subconscious is shared and exorcised by the imagination of a great writer. Why should this make me feel bad?

Utopia is also a perfect political ideal, same for everybody, and – since every human being is unique – when applied to actual life it can only lead to totalitarianism and dystopia. However, utopia as a genre is not just this. When I hear Italian authors who stand back from this means of expression as if it were intrinsically reactionary, I cannot help but think that there’s an oversimplification going on. In fact, at the base of utopian thinking, there is the abstract political principle that each of us has in mind when we distinguish between bad governance and good governance, when we vote, when we commit to a cause. We use that abstract ideal whenever we want the future to go in a certain direction. Dystopia represents the direction that we would not want.

Therefore, I believe that, in contexts such as the Italian, authors that stand back from utopia / dystopia (often treating the term as if it were an accusation) are victims of prejudice which probably sprung after the Second World War as a rejection to the political dystopia of fascism. I wish this prejudice, this arbitrary reductio ad unum, would fade away. Covid has shown us that we strongly need to be prepared for the future and for sudden changes very likely to happen and scary if compared to the reassuring routine of the present. Speculative cli -fi might be less reassuring than the realistic approach, but potentially it can anticipate the future so that it won’t take by surprise the reader. Being prepared, even if only on an imaginary level, makes one less fragile.

That’s why, in addition to the philosophical point about the need of thinking the invisible, I would like to see more speculative literature in Italy – and more valued. Its poor presence in the Italian cultural sphere (and the lack of encouragement to produce it), reiterating a whole series of prejudices, precludes Italian literature itself from interesting developments – which already exist and move in subcultures such as the geek / nerd. The fact that in the past two years the problem of climate change has forcefully come to the fore in Italy – helped by Greta Thunberg and, alas, by the covid – will soon push, I believe, towards a request for narratives that have to do with this type of theme. I already see that Anna of Ammaniti, whose premise is a pandemic from which children are immune, will soon come out as a television series. Given that Italian literature on these issues is several decades behind the Anglo-Saxon context both from a narrative and a philosophical point of view, it is really urgent to make an in-depth and mentally open discussion on the ways through which we want to address the issue. Every productive approach should be considered. Not only does Italy have half-forgotten science fiction and dystopian tradition, in which great authors such as Primo Levi or Bianciardi have also tried their hand (not to mention Morselli) that can parry the objection that speculative genres do not represent a contribution to the discourse coming from our cultural substratum, but also extremely needs an effective future imaginary to be created – especially concerning certain specific issues that have to do with us closely. The increasing of flooding in the Venice lagoon, for example.

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