I social, la monetizzazione e i content creator.
Non tutti gli Influencer sono uguali, non tutti gli Influencer sono Creator.

Il content creator e l’influencer rappresentano due figure professionali centrali e fondamentali nella nostra Social network Society. Entrambi derivano dall’area dell’influencer Marketing. Però mentre negli ultimi anni il termine influencer si è diffuso rapidamente e in molti casi è stato al centro della scena anche per contenuti non attinenti al proprio profilo (si pensi al caso Fedez-Rai), la figura di content creator risulta essere quasi del tutto sconosciuta, nonostante il suo lavoro sia estremamente importante per l’efficacia comunicativa di un contenuto postato sul web. Spesso non si riesce a distinguere un content creator da un influencer, anche se le loro competenze professionali risultano essere alquanto diverse.

Essenzialmente il content creator lavora con la creatività realizzando contenuti interessanti e in grado di catturare l’attenzione di quante più persone possibile.
Siamo in presenza di un mercato di professionisti, come conferma l’ultima indagine dell’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing. Una realtà che necessita di budget per produrre campagne: il 42% dei marketer dichiara infatti di retribuire sempre i creator coinvolti.
La retribuzione economica è la forma più utilizzata (il 62% la utilizza da spesso a molto spesso), ennesimo sintomo della professionalità degli influencer. Un dato che porta con sé un maggior costo delle campagne, ma anche un controllo più stretto rispetto ai contenuti prodotti.
Tende a diminuire lo scambio prodotto, accettato dai creator solo in particolari settori (travel e luxury) e se promosso da brand di un certo spessore.

Pago per seguirti

In realtà l’ultima tendenza in casa social non riguarda tanto il rapporto economico tra brand e content creator ma una richiesta di un piccolo contributo da parte dei pubblici per accedere a contenuti esclusivi.
O meglio, spesso dietro questa richiesta si manifesta una insoddisfazione da parte di chi produce contenuti professionali rispetto a ciò che ottiene in cambio.
Se volessimo trovare l’incipit di questa storia, possiamo farla risalire al 2009, quando nasce The Sorted Club, un programma di membership che garantiva l’accesso esclusivo a un’app, un podcast con puntate settimanali e altri contenuti unici sul mondo culinario, a chi fosse disposto a pagare per riceverne di sempre aggiornati e creati ad hoc.

Poi è arrivato Tik Tok

Il social ha annunciato un maxi-fondo da 200 milioni di dollari, il Tik Tok Creator Fund, destinato ai content creator più capaci. I contenuti creati per l’app saranno monetizzabili, ma ci sono dei requisiti.


“Attraverso il TikTok Creator Fund, i nostri creator saranno in grado di avere una nuova opportunità di remunerazione. È un modo per cercare di ricompensare la cura e la dedizione che impiegano per comunicare in modo creativo con un pubblico ispirato dalle loro idee. TikTok è diventato una fonte di reddito e un’opportunità per i creator e le loro famiglie — nulla ci incoraggia quanto il loro successo”.

Per beneficiare del fondo, oltre al requisito della nazionalità, è anche necessario che i creator siano maggiorenni e rispettino altri requisiti come la pubblicazione in modo consistente di contenuti originali.

Instagram non sta a guardare
e ClubHouse va oltre

Da alcuni mesi si aggirano sul social delle immagini alcuni profili privati a pagamento, come racconta un articolo di BuzzFeed.News.
Si tratta di content creator professionisti che chiedono alle proprie community una fee in cambio dell’accesso a contenuti inediti ed originali riguardanti i più diversificati argomenti. In particolare, sono molto apprezzati i settori di moda e lifestyle.
Clubhouse, l’ultimo social arrivato sulla scena mondiale, prova la funzione Payments per far monetizzare ai creator con i loro contenuti.

“Siamo entusiasti di lanciare Payments, la nostra prima funzione di monetizzazione per i creator di Clubhouse”.


Payments, attualmente in versione beta, verrà esteso nelle prossime settimane solo ad un numero ristretto di iscritti: permetterà ai creatori delle stanze sonore, in gergo room, di ricevere denaro per il loro lavoro. Tutti potranno inviare somme ma solo alcuni saranno in grado di riceverle, proprio in vista di una sperimentazione al momento di nicchia.

Il barattolo delle mance

E su Twitter arriva il barattolo delle mance, Tip Jar. Un ristretto numero di creatori, al momento solo inglese, potrà abilitare una funzione per accettare piccoli contributi che sostengano il loro lavoro.
“Un supporto concreto per rendere ancora più semplice e immediata la possibilità di inviare e ricevere donazioni e un altro modo per servire ancora di più la conversazione pubblica” spiega una nota da San Francisco firmata dalla senior product manager Esther Crawford.
Il Tip Jar di un account è abilitato se compare l’apposita icona accanto al pulsante Segui sulla pagina del profilo. Toccando l’icona è possibile visualizzare l’elenco dei servizi o piattaforme di pagamento che l’account ha abilitato. Per effettuare una donazione, bisogna scegliere il servizio o la piattaforma di pagamento che si preferisce per essere indirizzati da Twitter all’app selezionata, dove sarà possibile sostenere il progetto specifico.
I servizi che si possono aggiungere oggi includono Bandcamp, Cash App, Patreon, PayPal e Venmo. Twitter non prende alcuna percentuale. Su Android, le donazioni possono essere inviate anche all’interno di Spaces.

Tutto per la qualità?

In linea generale, questo interessante processo dovrebbe condurre verso una maggiore attenzione ai contenuti di qualità e di valore per i fruitori. Soprattutto diventa fondamentale per far percepire alle proprie community il valore del lavoro dei content creator.
Se sempre più i social network riconosceranno il lavoro dei creatori di contenuti e individueranno le prassi per retribuire questo lavoro, sarà possibile immaginare in un futuro vicino, garantire contenuti originali, creativi, di qualità e capaci di attrarre e coinvolgere i pubblici anche su tematiche sociali e di impatto per le nostre vite, senza escludere contenuti di entartainment e di gamification. E soprattutto potrebbe essere una strada da seguire per immaginare prodotti in grado di contrapporsi alla disinformazione o a contenuti falsi.
Quindi, nell’epoca della monetizzazione, se tu sei bravo, crei contenuti interessanti e sei impegnato sui social network, io sono disposto a pagarti. In base al peso specifico del lavoro che svolgi. Sarà davvero così?

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