Seth Godin nel libro This is Marketing ad un certo punto scrive una cosa del genere: “se avete scritto un libro e alcuni lettori lo trovano orribile, hanno ragione. Se alcuni lettori invece lo trovano illuminante, hanno ragione anche loro”.

In questa unica frase si ritrova tutta l’essenza della capacità che hanno oggi le recensioni online di rappresentare una benedizione o una maledizione.
La questione è ardua e riguarda, in senso generale, il ruolo sempre più di producer rappresentato da ciascuno di noi e quell’impatto (positivo??) che può avere il singolo intervento personale sul business, non solo sulla customer trust ma anche sugli acquisti online e offline.
Secondo una indagine di WebsiteBuilder le recensioni online hanno un impatto (positivo o negativo) enorme sia sulle aziende che sui consumatori, e il 22% dei consumatori non acquisterà un prodotto dopo aver letto anche solo una recensione negativa a riguardo, ma di contro, la scelta di non sottoporsi al giudizio on line dei clienti potrebbe causare perdite molto gravi.
Ogni volta che twitti, posti, o pubblichi su questo fantastico caffè o su quello shampoo che ha fatto miracoli ai tuoi capelli, i tuoi follower sui social media lo vedono e potrebbero essere spinti a provarlo. Lo stesso vale per opinioni negative e invettive.

Come indicato da Forbes, l’81% delle scelte di acquisto dei consumatori è influenzato dai post dei propri amici sui social media.
Una ricerca di BrightLocal, segnala che l’88% dei consumatori si fida delle recensioni online tanto quanto una raccomandazione personale, il che è sorprendente, considerando che la maggior parte delle recensioni online sono pubblicate da sconosciuti.

La Gen Z

Tutte le generazioni fanno ricerche online prima di passare all’acquisto. Tutte le generazioni si fidano di quello che viene scritto. Tutte le generazioni acquistano dopo aver letto una recensione positiva.
Se l’advertising online resta infatti una forma di scoperta importante, il passaparola (34%) e i consigli di celebrità (19%) e influencer (21%) si dimostrano determinanti, così come i siti di recensioni (22%) e comparazione (23%), come dimostra l’ultima ricerca di Buzzoole. Un’ulteriore conferma, questa, della valenza degli influencer e ancor di più della social proof nei processi di acquisto. Un pubblico che vuole essere informato e che sfrutta diversi mezzi per esserlo al meglio: motori di ricerca (57%), social media (51%) e recensioni (36%) sono i canali principali attraverso cui i giovani appartenenti alla Gen Z ricercano maggiori informazioni sui brand di loro interesse.

La riprova sociale e
il rovescio della medaglia

Per capire qual è l’effetto delle recensioni è senz’altro utile riprendere in mano il capolavoro di Robert Cialdini, ovvero il famoso Le Armi della Persuasione. Come è noto, in questo saggio lo psicologo statunitense presenta i sei principi della persuasione, ovvero impegno e coerenza, reciprocità, autorità, simpatia, scarsità e, per l’appunto, riprova sociale, il quale è probabilmente il principio maggiormente sfruttato a livello di web marketing negli ultimi anni, soprattutto, come si vede, per la generazione Z.
Però… c’è un però: riguarda la possibile falsificazione e non/verità delle recensioni che possono provocare un danno economico irreparabile e sanabile con estrema difficoltà.

Il business delle recensioni false

Un commento ben scritto. Perfetto nello stile e nel contenuto.
Tutti, poi, danno il massimo della valutazione al prodotto acquistato: cinque stelle.
Però sono commenti falsi, comprati sui gruppi Facebook dai venditori che espongono la merce sui siti di e-commerce per gonfiare le valutazioni, diventare più visibili e vendere di più. È quanto sostiene uno studio durato dieci mesi e curato da tre ricercatori (delle università della California-Los Angeles e della California del Sud) tra i quali anche un italiano, Davide Proserpio.

Le conseguenze delle finte recensioni online – positive o negative – venivano chiaramente palesate dal rapporto del famoso sito TripAdvisor rispetto all’anno 2018: 66 milioni di contributi proposti nel 2018 dagli utenti, bocciati il 4,7% di cui il 2,1% palesemente falso.
Come funziona il sistema?
I siti di e-commerce vendono direttamente oppure ci sono venditori terzi che usano la piattaforma per i loro prodotti. Il venditore si rivolge ai proprietari dei gruppi Facebook per reclutare gli utenti che comprano il prodotto, lo recensiscono dando il massimo ed inviano prova della loro recensione. In cambio ottengono il rimborso del prodotto con un prezzo maggiorato.
Le recensioni false funzionano perché, secondo la ricerca, sale la valutazione media (di 0,16 punti), aumentano le vendite e, per come è strutturato l’algoritmo del sito di e-commerce il prodotto diventa più visibile, incrementando ulteriormente le vendite. Il costo oscilla tra i 15 e i 40 dollari, spiega la ricerca, hanno una valutazione media complessiva di 4,4 (su un massimo di 5) e di solito 183 recensioni. Le fake review di solito non superano le quattro settimane di vita, tant’è vero che subito dopo prendono il sopravvento le valutazioni negative (una stella) di persone che hanno comprato il prodotto e l’hanno trovato scadente. Quanto alla curva delle vendite la ricerca sostiene che scende dopo uno o due mesi. I ricercatori ammettono che queste valutazioni siano davvero difficili da individuare e la cancellazione da parte di Amazon riguarda il 40% dei commenti e in media dopo oltre cento giorni, dopo che il fenomeno ha esaurito i suoi effetti.

Amazon: da colpevole ad innocente?

Il colosso e-commerce americano si è scagliato contro i social network che diffondono recensioni false. In alcune circostanze, ha dichiarato Amazon, “vengono assunti dei gestori di terze parti per perpetrare questa attività illecita per conto” dei marchi, mentre in altre circostanze invece sono le stesse società ad occuparsene.
La denuncia riguarda una vera e propria manipolazione delle recensioni.
Amazon evidenzia che nei primi tre trimestri del 2020 ha identificato più di 300 gruppi sospetti in cui venivano portati avanti comportamenti fraudolenti. Nel 2021 la società ha segnalato oltre 1.000 gruppi o servizi di recensioni false ai social media, che non cinque giorni sono stati chiusi.
Amazon, la cui reputazione si basa essenzialmente sulla fiducia, chiede comunque controlli proattivi per rilevare le recensioni false ed intercettare velocemente gli account che le producono.

Il paradosso della scelta

In generale, il business delle recensioni false ed artefatte non si è sviluppato solo con l’obiettivo di danneggiare le imprese concorrenti, ma anche con lo scopo di fare autopromozione.
Si stima che l’incremento dei guadagni, per esempio per un albergo o un ristorante, grazie alla disponibilità di buone recensioni, possa stimarsi in una forbice tra il 5% e il 9%: vien da sé che in tanti, privi di buone recensioni (e buone qualità da recensire) hanno ben pensato di inventarne in dosi tali da condizionare il comportamento e le scelte dei propri potenziali clienti.
Se è vero che i migliori recensori siamo noi stessi quando testiamo sulla nostra pelle i prodotti, dobbiamo auspicare, di fronte a questo quadro, che dal far west del mercato globale possa svilupparsi un ecosistema digitale corretto e premiante per i migliori valorizzando i caratteri distintivi fondati sulla trasparenza, la correttezza delle prassi commerciali e, in definitiva, una sana competizione.

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