Nella letteratura del Novecento a cavallo fra le due guerre, l’individualismo dell’uomo pone l’accento sul distacco dalla realtà e la crisi del soggetto, sulla solitudine e sull’estraneità rispetto a un mondo percepito come oscuro e ostile.
L’assenza diventa la vera condizione dell’esistenza, costituendo una sorta di grado zero, un punto di partenza da cui nasce anche gran parte della poesia novecentesca.
Tale tematica trova una delle sue più alte formulazioni nel poemetto La terra desolata di Thomas Stearns Eliot, apparso per la prima volta nel 1922 sulla rivista inglese The Criterion.
Considerato il maggiore esponente del movimento moderno in poesia, Eliot ci trascina in un mondo quasi metafisico che appare popolato da ombre terribili intrappolate in una natura pietrificata. Lo stesso autore, nelle note, dichiarò che il disegno dell’opera fu suggerito dai libri Indagine sul Santo Graal di Jessie L. Wenston e Il ramo d’oro di Frazer.
Numerosi sono i riferimenti ad altri poeti e scrittori, da Ovidio a Baudelaire, ma Eliot subì enormemente l’influsso del sommo poeta e della dimensione mistica e spirituale della Divina Commedia.
Eliot opera infatti una costruzione allegorica della Commedia dantesca, ricreando in chiave moderna gli aspetti più sofferti delle cantiche del Purgatorio e dell’Inferno.
Il tema della Terra desolata era la “città infernale” descritta attraverso una poesia dell’angoscia, dell’ansia e dell’alienazione. I suoi versi traducono con estrema efficacia, nella simbologia dell’aridità e della desolazione, la lucida constatazione della crisi del mondo moderno ormai privo di significati.
L’opera è dedicata a Ezra Pound, amico di Eliot e definito dallo stesso “miglior fabbro” (cfr. Purgatorio Canto XXVI), per l’aiuto provvidenziale nel trovare un equilibrio fra simbolismo e sperimentalismo durante la stesura.
Addentrandoci nel poema troviamo due immagini paesaggistiche contrapposte ma ugualmente irreali.
Londra è la città irreale, un inferno cittadino derivazione di quello dantesco, che pullula di uomini che sono le ombre dei morti, larve mute e prive d’espressione. E proprio come Dante il poeta interroga l’anima di uno dei defunti Stetson.
Il “cadavere piantato nel giardino” rappresenta la cattiva coscienza che un cane tenta di riportare alla luce dissotterrandola. L’ipocrisia viene sottolineata dalla citazione baudelairiana “tu, hypocrite lecteur! – mon semblable, -frère!” , e funge da collegamento fra gli uomini-ombre della città irreale e i lettori.
Dopo quella di Dante, la scelta di Baudelaire non è certo casuale poiché nei suoi Fiori del Male rivelò l’inferno contemporaneo nascosto nella vita segreta delle città.
La “terra desolata” si estende fino alla montagna, arida e priva di vegetazione. L’immagine della roccia nuda e inanimata oggettivizza simbolicamente la morte in relazione all’assenza dell’acqua, simbolo di rinascita e vita; la “strada di sabbia” estende il motivo del deserto a ogni forma dell’esistenza. La natura è degradata e gli umani dotati di una ferocia animalesca, in quella bolgia infernale che è ormai la montagna, dove creature prive di vita sono in balia di forze superiori che non concede loro tregua e riposo.
“Non c’è neanche silenzio tra i monti”, “non c’è neppure solitudine tra i monti”. L’uomo è completamente alienato, non più in grado di pensare o di scoprire la propria identità.
È importante notare quanto Eliot si discosti dal simbolismo soggettivo del decadentismo, introducendo la tecnica del correlativo oggettivo, in cui l’espressione dei sentimenti e degli stati d’animo subisce un processo di oggettivazione attraverso l’uso di immagini dotate di una loro autonoma consistenza figurativa.
Per approfondire:
Thomas S. Eliot, La Terra Desolata – Quattro Quartetti, Feltrinelli 2019
Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia 2001