“Deafnotdead” di Diana Anselmo, visitabile presso la Galleria Eugenia Delfini
La Galleria Eugenia Delfini di Roma ospita la mostra "Deafnotdead" di Diana Anselmo, visitabile fino al 14 febbraio 2025.
La Galleria Eugenia Delfini di Roma ospita la mostra "Deafnotdead" di Diana Anselmo, visitabile fino al 14 febbraio 2025.
La Galleria Eugenia Delfini di Roma ospita la mostra Deafnotdead di Diana Anselmo, visitabile fino al 14 febbraio 2025.
Anselmo è un artista visivo, performer e attivista Sordo e queer. Dopo aver ottenuto successo con la sua prima mostra personale alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, continua a indagare momenti significativi della storia della comunità Sorda attraverso l’uso di archivi, fotografie e disegni.
Durante la sua attività di ricerca, svoltasi per lo più a Parigi, l’artista ha potuto visionare una serie di documenti presenti nell’Institut National de Jeunes Sourds (INJS), riferiti alla visione, tutta ottocentesca, di incidere sulla Sordità attraverso pratiche intrusive e discriminanti.
Nell’Ottocento la Sordità, secondo una visione audista e fonocentrica, era avvertita come una malattia. L’essere non udente era percepito come una menomazione su cui era necessario intervenire al fine di ristabilire una visione di persona normodotata.
Numerose sono le pratiche messe in campo in quegli anni che l’artista documenta attraverso il suo lavoro incessante e duraturo. Nella medicina era ricorrente l’utopia di insegnare a parlare a chi non poteva parlare: forcipi e specilli erano utilizzati con l’intento di rimuovere gli impedimenti fisiologici che ostacolavano la normale fonazione.
Il corpus della mostra, con allestimento asciutto e particolarmente sobrio, occupa tutti gli spazi della galleria.
La frase “J’ai mal a la tete” e le relative espressioni fonetiche di movimento della bocca, rappresentavano le prime lezioni impartite a chi dovesse imparare a parlare. La nota frase era utilizzata come strumento di conoscenza e rappresentava l’approccio filologico alla condizione di Sordità, avvertita ovviamente come una disfunzione. Sulle pareti della galleria sono state tracciate, con l’utilizzo del carboncino nero, undici bocche nella relativa posizione articolatoria che riproducono questa curiosa metodologia didattica intrapresa da Hector Marichelle, noto fonetista di fine Ottocento e inizio Novecento dell’INJS.
Nella sua permanenza a Parigi, Diana Anselmo ha recuperato foto d’archivio dell’Institut National de Jeunes Sourds di Parigi (INJS) che raffiguravano bambini sottoposti all’idroterapia, una pratica che si riteneva potesse curare la Sordità. L’attività consisteva nell’immergere persone Sorde all’interno di vasche di acqua calda, con la convinzione che quest’ultima potesse “disciogliere” il loro disturbo. Anselmo interviene sulle foto obliterando i volti dei bambini immersi nella vasca e applicando sui loro volti un chewing gum. La sua critica è duplice: da un lato, risponde all’osservazione parigina di fine Ottocento secondo cui la bocca per i Sordi non sapesse “far altro che masticare”, dall’altro interviene sui volti dei protagonisti con la propria gomma da masticare nascondendo le sembianze delle persone raffigurate, impedendo allo spettatore di riconoscerle e, al contempo, proteggendone la privacy.
Lo stesso tema del volto oscurato si ripropone anche nelle opere che illustrano in lingua dei segni italiana (LIS) la frase “qualcuno ha detto basta”. L’opera rievoca un episodio accaduto all’INJS, durante una delle lezioni di apprendimento forzato, in cui un alunno si alzò dal banco e, in silenzio, digitò sulla lavagna la parola “BASTA!”, per poi tornare al suo posto senza proferire parola. Una protesta tanto acuta quando silenziosa.
Tra le ultime opere esposte alcuni piattini con rappresentazioni anatomiche in cui l’artista introduce la frase “Deaf not dead”, titolo della mostra. Nello scrivere “I’m deaf” il sistema di videoscrittura trasforma automaticamente la frase in “I’m dead”: è quindi possibile comprendere quanta fatica abbia accompagnato l’affermazione dell’identità per i Sordi. Una fatica che il pubblico non conosce e che solo visitando la mostra è possibile percepire. La mostra consente di comprendere come la Sordità rappresenti una unicità e permette di scrutare aspetti e curiosità per lo più preclusi al grande pubblico.