Lorenzo Di Palma ne ha fatto una ragione di vita: sulla pelle dei lavoratori nessuno sconto e nessuna scorciatoia. E così per l’azienda di cui è amministratore delegato, la Edil San Felice, che opera nella costruzione e manutenzione di infrastrutture, la sigla ESG è ovviamente Environment e Governance. Ma soprattutto S, dove Social significa Sicurezza. Quindi niente subappalti, formazione continua dei dipendenti, parco mezzi di proprietà, digitalizzazione elevatissima, controlli costanti e severi sui mezzi di protezione. Questo ha generato una crescita costante negli anni, un alto rating di affidabilità e come naturale conseguenza lo sbarco in Borsa, un anno fa su Euronext.

Di Palma, la Esg è un’azienda con un fatturato interessante, oltre 300 dipendenti, un’espansione al di fuori della regione di provenienza (la Campania). E fa azioni imprenditoriali controcorrente rispetto ad altri operatori del settore. Cominciamo dai subappalti?
Cominciamo, si fa presto. Per noi la regola è subappalto zero. In un settore dove invece il subappalto è applicato dal 95% dei colleghi. Colleghi stimolati verso questa scelta, va detto, dalla decisione politica di cambiare il Codice degli appalti, che ha prodotto un fenomeno di lavori a cascata ceduti ad altri. Siamo quasi vicini al 100% di lavori assegnati e poi affidati a terzi.

E questo non va bene. Perchè?
Perché negli appalti, nella manutenzione, nelle costruzioni la qualità è fondamentale. Noi abbiamo deciso di avere a carico diretto nostro tutte le maestranze. Così rispettiamo i tempi di consegna e non incorriamo nelle penali. Cosa non facile in un mercato condizionato da un lato dagli eccessi del Superbonus, che ha drogato il mercato non solo sul fronte dei prezzi delle materie prime ma anche su quello della manodopera; e dall’altro dal reddito di cittadinanza che ha manipolato la psicologia delle persone, inducendo tanti giovani e giovanissimi ad allontanarsi da lavori che sono faticosi. Questo ha portato alla rarefazione di personale altamente specializzato, come carpentieri e conduttori di mezzi d’opera. Noi stiamo compensando questa carenza con una nostra academy, per attrarre, cominciando dalle scuole, persone che vogliono lavorare nel settore

Sono tanti però gli incidenti nel vostro settore. Troppi. Che fare?
Intanto ridurre i subappalti, che sono un fenomeno inaccettabile e che ha impatto diretto sulla sicurezza. Pensi all’incidente di Firenze di qualche mese fa, con le vittime nel crollo di un manufatto in costruzione per Esselunga. C’erano subappalti di subappalti, una cosa gravissima. Bisogna che gli imprenditori del settore cambino marcia. Noi lo abbiamo fatto. Intanto, come le dicevo, avendo al lavoro solo personale diretto. E abbiamo mezzi operativi nostri, sono circa 280. Questo fa la differenza. Poi c’è il discorso della digitalizzazione, quasi sconosciuta nel nostro comparto, considerata una cosa di cui non c’è bisogno.

Invece?
Invece è fondamentale. Io mi rendo conto che il nostro settore purtroppo è quello che negli anni non si è mai evoluto su quel fronte. Noi abbiamo digitalizzato il processo produttivo, primi in Europa a farlo grazie a un programma applicativo studiato per noi dagli americani di SalesForce. Di ogni operazione facciamo un rapporto digitale, con tanto di foto teletrasmesse del progresso dei lavori e del materiale usato in cantiere, il che ci permette di seguire tutta la commessa in tempo reale. E anche la sicurezza dei dipendenti è digitalizzata. Sul tablet di servizio c’è una checklist da compilare su tutte le attrezzature per la sicurezza in cantiere che sono obbligati ad indossare o attivare. Se manca qualcosa sul tablet,o la lista non è compilata correttamente, non si inizia a lavorare. E sui mezzi in movimento abbiamo montato dei sistemi video che permettono, grazie a dei sensori molto sofisticati realizzati grazie all’intelligenza artificiale, di ridurre il rischio dell’angolo morto visivo per il conducente.

C’è collaborazione da parte degli enti appaltanti, delle istituzioni locali sul tema della sicurezza?
Le rispondo in un altro modo: nel settore in cui operiamo c’è tanta corruzione. Tant’è vero che noi con Comuni, Regioni e Province non lavoriamo, abbiamo fatto una scelta etica, siamo usciti tanti anni fa fuori dal contesto campano proprio per evitare di finirci dentro. E quindi siamo andati a trovare lavoro anche fuori dalla Campania. Oggi per il 60% operiamo nel resto d’Italia. La sicurezza fa parte di un sistema complesso, difficile perché oberato da elevate barriere all’ingresso, da un sistema frammentario che non tutela le aziende che sono organizzate. Basti pensare che in altri paesi come Francia, Germania, Spagna la più piccola azienda equiparata alla nostra ha 1500 dipendenti. Da noi troppe aziende sono scatole vuote, che sono lasciate operare senza operai e senza mezzi. Questo sistema, oltre a quello che le dicevo all’inizio, incide anche sulla sicurezza.

Oggi l’Italia è piena di cantieri, spesso si interviene per colmare anni di ritardo infrastrutturale o per assenza di manutenzione. Cosa ci manca?
L’episodio del crollo del ponte Morandi a Genova ha fatto emergere che in quel caso non ci sia stato nemmeno l’aspetto propedeutico alla manutenzione: perché se un’opera non la vai a ispezionare non la puoi manutenere. Allora in generale dico che spesso manca la cultura della manutenzione. In un paese civile come l’Italia non può accadere che crolli un ponte. Bisogna fare le ispezioni, controllare. Col passare degli anni le opere si deteriorano, e questo non riguarda solo i ponti, anche cose più piccole ma comunque fondamentali. Pensi solo ai guardrail: passano i mezzi pesanti, ci sono le escursioni termiche e i bulloni si allentano. Per anno non lo si è fatto, lo si fa adesso. La sola Anas oggi ha più di 2.000 opere da ispezionare.

Qual è la cosa che la rende più orgoglioso tra quelle che ha fatto?
La quotazione in Borsa. Quando mi hanno dato il campanello da suonare all’avvio delle contrattazioni l’ho quasi rotto per l’emozione. Pensavo alla nascita dell’impresa, da parte di mio nonno. E a uno dei miei punti fermi: che le cose si fanno rispettando le regole e le procedure, organizzandosi, creando una struttura. Con la quotazione posso portare i miei valori fuori dall’ azienda. E crescere ancora di più.

Lei è uno dei tanti amministratori e manager che ho intervistato in questi mesi per ReWriters. Tutti mi hanno raccontato che è necessario dare più spazio alle donne nei ruoli apicali delle aziende. C’è un solo problema: quelli che me lo dicevano erano tutti uomini…
Io sono un’imprenditore di terza generazione, la Edil San Felice è stata fondata da mio nonno in un paesino campano di 7 mila abitanti, Cimitile. Siamo ancora un’azienda familiare, e del Sud. Ma da noi le donne ci sono. La responsabile delle risorse umane é una donna. Nel cda ci sono tre donne. La responsabile dell’ufficio gare e appalti è una donna. Ne abbiamo tante perché hanno una marcia in più. In un settore che è molto operativo e per certi aspetti meno attraente per loro.

Ci sta dicendo che non ne trova per guidare bulldozer?
É un problema per noi. Adesso non ne abbiamo. Ma se un giorno ne trovo una che lo vuole fare, la metto subito alla guida di uno scavatore

Condividi: