Accedo al privilegio raro della presenza stampa in sala, per assistere a brandelli rapiti di una situazione del tutto inedita. E’ infatti la prima giornata di InQuiete Festival edizione straordinaria: tra parole, corpi, emozioni, silenzi, sbalzi di corrente, mi sentite?, ce l’abbiamo fatta… scrivono le organizzatrici su Fb … .
Sono qui fondamentalmente per la lettura di Elisa Casseri, scrittrice e autrice, Premio Riccione 2015. Nella assoluta incertezza di prospettive il farsi di qualcosa, da qualche tempo, diventa di per sé argomentazione, motivazione, narrazione, spinta propulsiva per chi assiste. Così ascolto la instant drammaturgia che Elisa ha dedicato a una inchiesta sentimentale durante il Covid, nata per osservare l’andamento dei nostri sentimenti

E il 30 marzo parte verso molte persone una mail, che ha l’obiettivo di raccogliere materiale visitando persone come luoghi – anche in collegamento video – per parlare di famiglia, sesso, orientamento sessuale, amicizie, entanglement quantistico emotivo, sentimenti, identità,  felicità, a visitare i monumenti principali delle loro città emotive, che Casseri definisce di frequente rovine classiche generate dai sentimenti.

Incontra così infinite crisi da quarantena, nella perenne ricerca di un bagaglio emotivo decente per sopravvivere a letti non nostri… ma anche famiglie disfunzionali, disastri, archetipi egomaniaci, narcisisti, manipolatori, psicoanalisti, tradimenti, liste di esperienze immancabili, storie Istagram, asana, baci, disastri. Si trova letteralmente mandata affanculo da umani devastati da troppi figli a casa, nonni a distanza, uomini e donne che si respirano forte tutto il giorno “… a cercare pantaloni dell’Adidas del ’94, cioè l’ultima tuta acquistata, e se non la trovano è colpa tua, chiunque tu sia…”.

Tra didattiche a distanza, smart working, impossibilità a sfuggire dalle proprie scelte, assenza di passato e futuro Elisa però, come Alice nel paese delle meraviglie versione post moderna, scopre …”un manipolo di folli, un gruppo di scriteriati” resosi disponibile in strade lastricate di fallimenti e vittorie, in mulattiere di amore, che obbedisce a una liberatoria che garantisce anonimato e promette nuove segnalazioni di storie umane più o meno prossime, congiunti e non congiunti.

Allontanandosi dalla propria bolla Elisa parla con 90 persone, 101 ore e 53 minuti sbobinati, con ultima tappa 12 settembre. Il risultato è un cammino di Santiago sentimentale, che nasconde indizi “… a capire il perché dell’incommensurabile disastro delle nostre vite emotive, di questo amarsi senza amarsi, la meraviglia del mentire, senza capirsi, dell’umanità nascosta e di quella che invece ti travolge, di questi tempi, paura, corpi fragili che siamo…”. Si racconta di un ritorno pieno di paura all’idea di non poter riacquistare un’autentica integrità, “…che fare l’autostop negli affari degli altri è pericoloso per chiunque” ma la verità è che questa si rivela per l’autrice l’esperienza più straordinaria mai vissuta: come facciamo a essere chi siamo senza esserlo mai, come si perde tutto e di tutto ci si dimentica. Casseri sta oggi ultimando dunque questa folle strampalata mappatura emotiva di panorami interiori, geografie familiari, strade, ponti, segreti, amori passati raccolta mentre fuori – nello spazio reale – la sospensione delle nostre vite complicava tutto.

A cesello, impossibile non citare l’intervento di Sara De Simone, critica letteraria e traduttrice, che ci racconta una Virginia Woolf da stesa, quasi una sfinge monumento alla vulnerabilità – regalandoci il primo ricordo della scrittrice, ovvero quello di stare sdraiata bambina e sentire il rumore delle onde, in uno stato intermedio tra veglia e sonno. Ci ricorda l’incredibile pregio di essere vivi, uno sguardo orizzontale a benedire le nostre inquietudini. Nella sala semivuota e vibrante sembra quasi che puoi accarezzarla quella Virginia, a letto, spesso malata, che legge e scrive, attende in un silenzio di crisalide che le si formino dentro i romanzi, la coscienza di un corpo to be e non to do, avvolta da una  malattia – agente di verità che tollera solo parole vere, persa a guardare il cielo come permesso rubato solo dai supini. Sdraiati siamo più capaci di pensare a una rosa che, fragile e ostinata, continua a fiorire nonostante tutto, incalza De Simone. Fermarsi a pensare alla rosa? Dunque invoca le parole di Adriana Cavarero che vede “la centralità della postura verticale come patetico abbaglio”, che essere al mondo è essere esposti e dipendenti, impreparati e spaventati, ma pronti a scoprire qualcosa che ci sorprenda; forse proprio nell’atto di contraddire l’asse verticale della gerarchia, della norma”.

Una possibile chiave per rivisitare un oggi dedito – inserisco senza esitazione anche Giorgia Serughetti – a curare i viventi, in questo “gigantesco bisogno di cura che ci trova impreparati” nella rimozione della dipendenza, tutti vulnerabili, tutti responsabili nell’evento totale nella percezione del limite, della precarietà, della vulnerabilità in un guadagno di consapevolezza nel coraggio di guardare in faccia caos e dolore, armando del proprio agire la speranza. Benedette siano le nostre inquiete mappature dunque, il fragile filo della rete che al vento vibra ma non cede.

Condividi: