Roberta Calandra torna ad accompagnarci nell’esplorazione del teatro contemporaneo, ma stavolta ci porta fuori dal suo ambito di rappresentazione deputato – il palcoscenico, il sipario, le poltroncine di velluto rosso e quant’altro associamo all’idea tradizionale di teatro – per intraprendere una piccola rassegna delle forme altre: teatro sociale, teatro come pratica comunitaria, relazionale, terapeutica, meditativa.

Fare teatro fuori dagli spazi convenzionali

Sono forme di performatività in cui gli attori si muovono come ricercatori e storyteller, spesso recuperando la memoria personale e collettiva con un paziente lavoro di scavo nelle pieghe di una storia dimenticata, piuttosto che mettere in scena un testo teatrale canonizzato; innestandosi nel solco delle tradizioni popolari, abitando spazi non convenzionali come aie e monasteri, parlando a un pubblico che difficilmente potrebbe essere raggiunto – per motivi geografici, economici, socioculturali – attraverso canali più classici.

Non è un caso che queste tendenze, che si riagganciano alle esperienze del teatro di ricerca degli anni ’70, abbiano preso slancio negli anni più recenti ad opera di una generazione che si è scontrata con gli ostacoli e l’inerzia del circuito istituzionale.

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