Federica Pellegrini e le altre, la paura dei vincenti: quando la salute mentale è, prima di tutto, Salute
La storia di Federica Pellegrini e quella di Simone Biles ci insegnano che la salute mentale non deve più essere considerata uno stigma.
La storia di Federica Pellegrini e quella di Simone Biles ci insegnano che la salute mentale non deve più essere considerata uno stigma.
La mia vita da impanicati ha avuto diverse evoluzioni nel corso dei suoi vent’anni. Vari sono stati i momenti e le persone che hanno avuto, consapevolmente o meno, un ruolo importante nell’arco narrativo di questa mia storia. Ho ben chiaro chi, quando, quanto e come si sia reso protagonista di una svolta, non sempre in positivo, nella mia corsa ad ostacoli. Uno di questi momenti è senza dubbio quando mi è stata inviata una mail a firma Federica Pellegrini nella quale si allegava la prefazione al mio libro.
Avevo chiesto il suo contributo perché il modo onesto con cui Federica ha parlato diverse volte dei suoi attacchi di panico mi ha sempre fatto emozionare. È stata una delle prime a parlarne, a sfatare quel mito dell’atleta invincibile che deve per forza essere anche una persona invincibile. È stata in grado di separare Federica dalla Divina portando, per la prima volta, alla ribalta il tema della salute mentale che è salute a tutti gli effetti.
Eppure i tempi per questo Paese, nel 2008, strano ma vero, non erano maturi, e forse, in realtà, non lo sono ancora.
Federica è tornata ad essere la Divina, ha superato i propri disagi e l’Italia dello sport e del giornalismo, ha dimenticato quegli episodi tanto umani quando pericolosi nell’era della perfezione.
Capita, quindi, che quando Naomi Osaka, numero 2 del ranking mondiale di tennis, non si presenti alla conferenza stampa del Roland Garros, la stampa italiana le dedichi giusto un trafiletto e solo sulle pagine di settore, dando molta più enfasi alla troppa pressione e alle multe che dovrà pagare. Eppure, ancora una volta, è dallo sport che parte lo sdoganamento dei tabù. Perché Naomi non ha parlato di troppe pressioni, ha parlato esplicitamente di poca attenzione alla “salute mentale degli atleti”. Ha parlato apertamente di depressione facendo suo uno slogan tanto caro a molto di noi “è ok non essere ok”. Ma niente, il problema per molti resta ancora la troppa pressione e la troppa esposizione.
Capita, così, che quando Simone Biles decide di ritirarsi perché, dichiara senza troppi giri di parole “devo pensare alla mia salute mentale, un quotidiano nazionale faccia un titolo mettendo una affianco all’altra le foto di Federica e di Simone con in mezzo il titolo “La forza e la fragilità – Pellegrini infinita, Biles in tilt”; dimostrando di non conoscere la storia di nessuna delle due atlete.
La salute mentale è ancora un tabù, alle volte è persino un privilegio di cui non tutti possono occuparsi, soprattutto se si tratta di atleti o più in generale di persone di successo, costretti a rispettare standard e aspettative che altri hanno stabilito per loro. Parlare di salute mentale così apertamente come hanno fatto Simone e Naomi negli ultimi mesi, le ha esposte ad un potenziale peggioramento dei loro stati emotivi.
Sono state giudicate, insultate, criticate e sminuite. In pochi hanno fatto qualche passo indietro per provare a guardare la situazione nel suo insieme. Perché accusare la Biles, una che è alla sua seconda olimpiade e che alla prima ha vinto tutto il vincibile passando attraverso l’inferno di quello che è il più grande scandalo sportivo della storia, è quantomeno ingenuo. Ci si dovrebbe domandare come abbia fatto, piuttosto a reggere così tanto.
Ma invece niente, Simone Biles, Naomi Osaka, Federica Pellegrini, Gianluigi Buffon, Kelly Holmes, Michael Phelps e chissà quanti altri ancora (come è documentato da uno studio di Frontiers in Psychology) sono solo fragili, incapaci di accettare le sconfitte, di affrontare le pressioni, di ammettere di non essere invincibili. E questa narrazione ci piace, ci fa comodo, perché continua a relegare la salute mentale in un angolo, in uno spazio che non coinvolge tutti, che ha a che fare solo con la forza di volontà e con la voglia di reagire, una di quelle cose da ragazzini viziati capaci di avere tutto ma incapaci di accettare di dover restituire qualcosa.
E poi, capita, che lo scorso 1 aprile la ginnasta britannica Claudia Fragapane, durante il suo esercizio a corpo libero perde il controllo dello corpo e dello spazio e cade di testa, rischiando di spezzarsi l’osso del collo. E che quando ascolta le parole di Simone Biles dichiari “capisco perfettamente come si senta Simone”. E allora la salute mentale prende corpo. Diventa visibile. “Twisties”. Ecco come si chiamano i demoni nella testa di Simone, non paura di perdere, non pressione di vincere, non accettazione del tempo che passa. Una momentanea perdita di memoria muscolare che impedisce di svolgere anche gli esercizi più semplici, una perdita di controllo del proprio corpo e dello spazio durante le evoluzioni aeree.
Qualcosa di molto simile ad un attacco di panico. La paura che i tuoi blocchi compaiano mentre sei ad una cena o ad un convegno per noi persone normali, quella che avvengano mentre sei in acqua o in aria per gli atleti. Con L’aggravante che in questo caso potresti rischiare danni fisici seri. Ed ecco che la salute mentale diventa prima di tutto Salute.
La storia di Federica Pellegrini da cui sono partita e quella di Simone Biles a cui sono arrivata, con in mezzo altre storie, racchiudono anche le nostre, e ci insegnano diverse cose: la salute mentale è ancora considerata uno stigma; l’Italia è indietro anni luce; quando diciamo che può capitare a tutti vogliamo dire proprio a tutti; a chi ci chiede perché sei depresso, cosa ti manca, potremo sempre rispondere “cosa manca a Michael Phelps secondo te?”; che la salute mentale è Salute prima di essere mentale; che è ok non essere ok!
A proposito dei demoni di Simone, i demoni hanno tante forme, a volte sono malattie, altre volte sono traumi, alcuni hanno forme ben definite, altri devi andare a scovarli nel profondo. L’unica cosa che hanno in comune i demoni è che per essere combattuti devono essere riconosciuti. Alessandro Alciato nel suo libro Demoni – quando la partita è fuori dal campo racconta le storie di 13 giocatori ed ex giocatori di calcio che hanno vissuto momenti difficilissimi. Tra di loro c’è anche Gianluigi Buffon che rivive la sua depressione superata con la bellezza dell’arte. Perché ognuno di noi affronta delle sfide, ognuno ha i propri demoni con cui combattere, alcuni sono solo più visibili e accettabili di altri.