Quasi mai quello che viene chiamato ignoranza è mancanza di informazioni, di conoscenza, di dati; molto più spesso si tratta di un uso scorretto e arbitrario di informazioni, di conoscenza, di dati non pertinenti, insufficienti, incoerenti. Un caso tipico di questi usi sono, in Italia, gli argomenti di genere: femminismi, maschilità, femminilità, sessi, generi e orientamenti – terreno di facile conquista per persone del tutto disinformate e male informate. Il problema è molto complesso, e cerchiamo di spiegare il perché.

Se si tratta di argomenti di genere, nessuno si sente così ignorante da non dire nulla; qualsiasi persona ha un sesso, quindi immagina di avere anche un genere e un orientamento ben definiti, ed ecco che la propria opinione in merito la si crede subito sensata. Come se il solo poterla esprimere le conferisse un significato credibile; uno status che nessunǝ si sognerebbe di dare pensando alla paleografia greca, al calcolo combinatorio, alla biochimica molecolare. Queste sono discipline, il genere no.

Il primo errore è proprio questo. Il genere, gli studi di genere, la maschilità e la femminilità sono oggetto di studi scientifici da molti decenni, e pensare di poterne avere un’opinione sensata solamente perché si è uomini o donne è più o meno come credere di poter guidare un Boeing 787 perché si sanno fare buoni aeroplanini di carta. La prima cosa che s’impara dagli studi di genere è proprio un antidoto all’ignoranza: si studiano i condizionamenti culturali che ci hanno insegnato, permesso, abituato a essere le persone che siamo, e ad avere alcune idee riguardo l’essere uomini e l’essere donne. Quei condizionamenti non c’entrano con la nostra volontà: sono nell’ambiente culturale nel quale siamo natǝ e, proprio come un ambiente naturale, ci plasmano o ci costringono nelle nostre scelte in modo “naturale”. Purtroppo e per fortuna, quei condizionamenti di “naturale” non hanno nulla.

Dico “purtroppo” perché se gli aspetti più difficili e sgradevoli delle nostre identità di genere fossero naturali, iscritti nel DNA, non saremmo qui a parlarne e discuterne; i rimedi per le discriminazioni, le oppressioni, gli abusi di potere, i sessismi, sarebbero affidati alla genetica e alla ricerca farmaceutica. In realtà, esse possono ben poco, perché quelli “purtroppo” sono prodotti delle nostre culture i cui effetti sono danni sociali. In quanto tali, tuttǝ ce ne dobbiamo occupare – a differenti livelli, certamente, ma nessunǝ se ne può chiamare fuori.

Per questo nelle questioni di genere l’ignoranza è soprattutto mancanza di responsabilità: verso la lingua e il linguaggio, verso l’esperienza di vita altrui, verso i propri comportamenti chiamati “naturali” e che invece non lo sono affatto. L’ignoranza è visibilmente legata alla presunzione: la prima, quella di non essere condizionatǝ; la seconda, quella di essere tuttǝ condizionatǝ allo stesso modo dalla stessa cosa. Corpi diversi subiscono condizionamenti diversi, oppressioni diverse, e possono mettere in pratica liberazioni diverse. Quelle della simmetria della violenza di genere o della “guerra dei sessi” sono, semplicemente, balle.

Ho detto “per fortuna” perché proprio in quanto condizionamenti culturali ce ne possiamo liberare – ma la prima difficoltà da superare è l’ignoranza. Non è un caso, infatti, che quello cosiddetto “ignorante” passi per un comportamento libero, senza sovrastrutture; che il linguaggio “ignorante” passi per quello genuino, schietto, diretto e senza troppi fronzoli. Non è un caso che la mancanza di consapevolezza, conoscenza e responsabilità sia vista come una situazione di felice liberazione da problemi e legami. È un problema di genere perché “ignorante”, infatti, è sinonimo di maschile. Maschile perché ne ha tutte le caratteristiche tipiche: rude ma efficace; maleducato ma che arriva dritto al punto, al risultato; che non sta lì a pensare, a farsi problemi, ma agisce; pragmatico, non emotivo.

I nati con i cromosomi XY posso stare tranquilli: la loro ignoranza si cura, perché l’hanno imparata – come le nate XX. L’hanno imparata da una cultura che quel comportamento ignorante l’ha assimilato al comportamento libero, istintivo, sano e privo di freni inibitori, di scrupoli sociali, di complessità. Peccato che quella ignoranza, invece, faccia danni soprattutto perché illude che sia semplice avere a che fare con le nostre identità complesse e con le nostre ancora più complesse società; e perché nasconde a lungo, a ciascuno e ciascuna, la complessità del proprio genere.

Qualche consiglio per approfondire:
Irene Facheris, “Creiamo cultura insieme”, Tlon, libro.
Takeshi Kitano, “L’estate di Kikujiro”, film.
The Cure, “Boys Don’t Cry”, canzone.
Rita Petruccioli, “Ti chiamo domani”, BAO, graphic novel.

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