Il Festival di Sanremo, serie televisiva in 5 puntate, si guarda per curiosità, per aver di che parlare in settimana, per vedere chi c’è (come alle feste), e alla fine anche per sentire le canzoni. E criticare: le canzoni, i presentatori, i comici, e chiunque sia transitato da quelle parti. Un rituale pagano collettivo che avrebbe fatto la gioia di qualche imperatore romano. Ogni anno uguale a sé stesso, elasticamente, finché quest’ anno….

Questo, se ci pensate, è stato un Festival Re-writers: ci si trova a riscrivere le regole del senza pubblico e con la minaccia virale sempre presente: Niente pubblico? Oddio! Ma come si fa, con la nave albergo già prenotata? (Che poi mica si capisce perché negli show tv il pubblico distanziato c’è, e all’Ariston no. Fine burocrazia nazionale). Amadeus a un certo punto voleva addirittura defezionare. Finché il dirigente RAI fa due conti e dice che non se parla neanche neanche di rinviare. Sanremo, da sempre, paga da solo un trimestre. Rimane quindi da riscrivere Sanremo, trasformandolo in uno show puramente televisivo. Poltrone vuote rosse come le spie delle telecamere.

Cosa che non è che sia proprio un’impresa, ormai tutti a domanda rispondiamo che il Festival è un grande show televisivo, un palcoscenico o una vetrina televisiva per non solo canzoni. Al tempo dei tempi Baudo una sera si trovò ad aprire un’edizione con gli operai in sciopero sul palco. Canzoni, lotte operaie e tutto quello che ci sta in mezzo. Il festival è un grande contenitore tv, il che vuol dire tutto e niente, ma rende l’idea. Questo contenitore che Baudo aveva già reso onnicomprensivo negli ultimi anni ha cominciato a mutare. Sia musicalmente che come spettacolo. Anche per rimanere al passo.

Negli ultimi anni il Festival è diventato osmotico con mondi extra-Rai che hanno però lanciato marchi forti: X-Factor, Amici. Le Emma, Amoroso, Annalisa e altri vengono da lì, come i Maneskin e la povera Casa di Lego (nei duetti, agghindata come una tenda indiana) da X-F.  Ma sicuramente ne dimentico altri.

Anche l’estetica del festival di Sanremo è cambiata. Con X-Factor lo show musicale televisivo si è evoluto in un format di gara che mischia gli artisti sul palco – in scenari elettronici spesso strepitosi – con la loro vita reale. Ricreando un cortocircuito con un popolo di spettatori molto più giovane, più attivi e collegati al programma, assiduamente social, che di musica non è che sappiano granché. Diciamo più indietro del nuovo secolo. Ma non è necessario, la musica oggi è molto per oggi. Immagino (perché tengo famiglia) che i teenager non sappiano da dove provengano alcune delle cose che alcuni giudici (Morgan, Elio, Manuel) ogni tanto estraggono dal cilindro delle memorie gloriose del rock. Noi boomer, come anche in famiglia ci chiamano i pischelli della z-gen, le conosciamo.

Ma anche l’estetica del vecchio caro Ariston è mutata. C’è ancora lo storico caro Gaetano Castelli, con figlia, a disegnare lo scenario. Quest’anno fra luci ed effetti Sanremo era un’altra cosa, spettacolare (ne riparliamo fra poco). Come X-F, che a mio parere è la cosa televisivamente più bella in onda.

La scena era così sontuosa anche perché c’erano file in meno di poltrone rosse, e qui veniamo al succo del nocciolo, come diceva Bennato. La mancanza del pubblico così temuta ha generato una serie di effetti a catena che hanno cambiato molte cose. Sarò controcorrente, sia in questo che nel godere per la vittoria dei Maneskin, ma a me questo festival di Sanremo è piaciuto. Per molti motivi.

Primo, la conduzione. Il sogno di tutti noi presentatori (beato Amadeus): stare su un palco sontuoso, rilassato e di ottimo umore, ‘na decina de milioni chetteguardano, con il tuo migliore amico che incidentalmente è il miglior intrattenitore su piazza. Fiorello, che dà il meglio quando può improvvisare, ha preso in controllo la temperatura del Festival, entrando e uscendo a piacere, inventando una serie di sketch o di cazzeggi, facendo ridere di gusto Ama lì e noi qua, passando dal chissàchilosa sugli animali coi 2 cm del  gorilla a farsi tagliare i baffi in diretta: “mi han detto che assomiglio non più George Clooney, ma a Dalema, li taglio!’. E il giorno dopo “Che ti han detto?” “Che assomiglio a Dalema senza baffi”. Tutto così. E’ diventato un varietà di una coppia comica straordinaria: Fiorello & Ama, un format di varietà del sabato sera (l’unica serata che può spiegare certi costi) per 5 serate, con inserita una gara. E’ stato un male? Meglio, come certi protestano da sempre, solo le canzoni? Certo che no.

Secondo, la lunghezza (dalle cinque alle sei ore ogni sera). Non l’ho visto tutto, questo era fuori della portata umana. Ma che durasse così tanto a me è piaciuto. In quella sera+nottefonda avevi il tempo di mangiare, farti un pisolo, seguire la chiusura della Borsa e fare qualche telefonata, portare il cane fuori e farti tu una corsetta, vederti mezza partita e tante altre cose, e poi ritornare. Ci potevi contare, loro eran sempre lì, stoici. Una notte, alle 02.30, han detto che chiudevano con 15’ di anticipo, wow. Questa idea della cosa che la puoi vedere tutta filata, a pezzi, magari ricuperando l’imperdibile su RaiPlay, che puoi entrare e uscire la trovo – lo so, è folle – innovativa (a modo suo). Quando l’ultima sera Fiorello ha detto ‘prendiamoci i nostri tempi’ ha certificato quello che han fatto da subito, prendersi dei tempi che non erano festivalieri ma da varietà di gran livello con ampio margine discrezionale di improvvisazione. Se si misurasse il ‘possesso palla’ calcistico in % non fra le due squadre ma fra canzoni e tutto il resto, chissà dove saremmo: 26 canzoni x 4’ fanno abbondantemente meno di due ore, il programma è arrivato a durarne sei….

Terzo, Zlatan Ibrahimovic. Da vecchio milanista, conosciamo bene Z, che riempiva il palco con proporzioni e postura da gigante. Fuoriclasse, professionista pazzesco, capobranco e autoincoronatosi recentemente dio, spaccone e leale, spiritoso e ficcante quando, anche lui, lo si lascia libero, è partito un po’ ingessato e poi uno smoking di Cucinelli via l’altro ha dominato. Gli autori han studiato il percorso da duro&cattivo fino a superatleta (bellissimo il discorso finale sulla vittoria e la sconfitta) e ha funzionato, appena Zlatan ha smesso di recitare ed è stato sé stesso. Il racconto del motostop di 70km per arrivare in tempo è stato un coup de theatre che solo lui poteva inventarsi.

Quarto, Achille Lauro. Tutti a dire già visto, eh Bowie e RenatoZero loro sì, e poi son due anni che si traveste, ormai si copia da solo. Esticz. Al centro di uno spettacolo così, ci vuole qualcosa di altrettanto forte. Due anni fa non avrei mai pensato di pensarlo, un giorno, ma c’è tanta arte/ambizione/esagerazione/follia in quei tableau vivant. Non lo conosco, ma da romano non è difficile capirlo: working class, allo stesso tempo boro e raffinato, una voglia sfrenata di essere importante, iconico, innovativo – in pratica, come i suoi eroi, e non solo quelli musicali. E che dire di quei monologhi – con quella voce un po’ biascicata – che erano al tempo stesso naif e saggi, e comunque bellissimi da vedere? Puro teatro, certo; c’ha ‘na voce un po’ così, certo; ma anche passione e sincerità. E ogni quadro è magnifico. Quando Fiorello, fa l’ospite-installazione in ‘Rolls Royce’, con un copricapo da Cristo di spine, rimane in scena, si fa portare via in mezzo alle risate come un cartonato (“Faccio parte del quadro, non posso uscire da solo!’), ti arrendi. Sanremo forever. Anche il botta e risposta fra Z e AL non è stato male: nel suo monologo sulla metafora Sanremo-come-casa, Ibra: “…e in garage ci mettiamo Achille Lauro…così se arrivano i ladri lo vedono e scappano”, e AL di rimando “Sì, ma poi tutte le ragazze non salgono perché si fermano da me”. Due belli estremi. Il balletto alla Pulp Fiction di Claudio Santamaria e Francesca Barra mentre con una treccia rossa di due metri AL sulla scalinata cantava ‘Bam Bam’ mi ha ammaliato. Ammiccante e  intenso. Il mio momento top.

Quinto, le canzoni, l’orchestra e gli arrangiamenti. C’era talento e classe, in quella platea allargatissima, pancia di una astronave luminosa. Un po’ più distanziati del solito, tutti mascherati, sono stati allo stesso tempo un’orchestra stellare e la principale ragione per cui gli applausi registrati non sembravano, più che finti, assurdi. A proposito, gli applausi erano perfetti, cosa non facile, né troppi né troppo pochi, e dal suono spontaneo (subliminalmente, con gli applausi finti puoi fare disastri). Gli arrangiamenti erano fichi, molte canzoni e molte cover trasformate. Contemporanei, da quel punto di vista il suono è quello planetario di adesso. Non mi metto a fare la lista, perché sennò duro anch’io sei ore.

Ricordo fra i tanti, e so che ce ne sono tanti altri: Ornella con ormai voce fragile ma con quattro canzoni storiche e una classe naturale; Loredana che fragile è lei ma la voce è ancora ignorante il giusto; il ritorno sulla scena del delitto di Diodato, uomo delizioso le cui canzoni rimangono superiori a tutte; Madame, che mi sembra folle e talentuosa il giusto; il rap arguto di Willie Peyote, unico brano nel quale mi sono alzato a ballare (anche all’una e mezzo di notte); il ‘cazzo, ma perchè non son rimasto a casa sul divano?’ di Fedez dietro le quinte prima di entrare in scena la prima volta; il ricordo di Claudio Coccoluto, con foto a braccia aperte sotto la quale potevi immaginare il suono; gli abiti sempre più gonfi di Orietta Berti; la bellezza la genuinità e il talento stratosferico di Eloide, la nostra Beyoncè, ecco lei è una potenziale futura top star (beato Marrakesh); la caratura da star internazionale di Matilde De Angelis, che sa fare tutto – cantare, ballare, recitare, parlare le lingue – come le grandi attrici americane (si diceva sempre così); l’orribile frangettona della Pellegrini, capace di trasformare una strafiga in una mezza cozza del liceo; il pendaglio del Leone di Sanremo l’Orchestra della Polizia, con sei minuti di sofisticato tango argentino, impreziosito dalla violinista Olga Zakharova e il nostro Stefano di Battista con sax sublime (uno spazio di qualità assoluta); il vibrato da canto arabo di Mahmood, che ha una voce straordinaria; le cose che han detto gli e le ospiti, cose politicamente corrette ma senza retorica; il surrealismo alla Jacques Tati di Fiorello quando parlava alle poltrone rosse vuote, al massimo du’ palloncini; il volo da farsi male che ha fatto sulle stesse poltrone Max Gazzè dopo essersi aperto la camicia con sotto la tuta di  Superman (che però assomigliava a Nino Frassica poliziotto). Ma ne dimentico tante.

E infine, la cazzimma, la attitude spregiudicata dei Maneskin, 4 pischelli di Monteverde che hanno ascoltato quelli giusti e trovato la loro strada, e han portato al no.1 a Sanremo un rokkaccio ignorante, sboccato, riff superclassici e attitudine superglam (con una orchestrazione dietro da paura). Ok, la frase ‘fuori di testa’ è ripresa da ‘F.D.T.’ degli Anthony Lazlo, duo chitarra-batteria di parecchi anni fa da cui è emerso Andrea Lazlo De Simone, cantautore indie di grande successo anche internazionale. Ma il rock è fatto di shakerate di citazioni, da sempre.

Ho fatto un instant post con la faccia spiritata di Damiano, il link e solo 4 parole: ‘What The Fuck! Yeah!!’. Praticamente il ‘Porca puttana! Abbiamo vinto, cazzo!’ della bassista urlato a Fiorello che si sganascia. Non vi dico la sfilata di risposte su FB: da ‘non son nessuno’ a ‘possibile che anche tu…?’. Ma certo che sì. Quando ci ricapita, quel bordello picchiaduro in chiusura di un Festival di Sanremo?

I Maneskin che vincono a Sanremo dimostrano – oltre al fatto che il televoto dei pischelli d’Italia era ovvio, figlio teenager incluso – che tutti gli ultimi vincitori di Sanremo, chiunque li abbia votati un po’ a sorpresa (ormai vincono solo outsider, di talento), erano quelli da far vincere: Gabbani, Mahmood, Diodato, Maneskin. Gente nuova, e forte. Per me, questo è un dato. Magari son gusti miei, tanti non saranno d’accordo. Ma che mi importa, quando Zlatan mi ha detto che il Festival è di tutti, e quindi anche mio?

Il ricordo più forte, comunque, rimangono le risate senza freni (ma che bella cosa! Ama sei tutti noi!) di Ama mentre Fiore ne faceva di ogni. Ridere felici. Se non è un successo questo, nel marzo del 2021, ditemi cos’altro.

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