Perché parliamo di un libro dello scrittore francese Georges Perec in un blog di cinema? Forse è un testo che tratta del cinema? Direi di no, quindi? Leggete e vi svelerò il motivo.

L’infra-ordinario si compone di una serie di scritti editi tra il 1973 e il 1981 raccolti nel 1989 in volume. Ora giunge in Italia la nuova edizione a cura della casa editrice Quodlibet.

Georges Perec ci ha lasciato certamente troppo presto, chissà cosa avrebbe combinato questo geniale scrittore, membro dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), amante dei lipogrammi, degli elenchi, delle nomenclature.

La fenomenologia dell’ordinario

Il suo stile è incomparabile, i suoi romanzi si muovono tra abbondanza di descrizioni e il tentativo, perfettamente riuscito, di una fenomenologia dell’ordinarietà, del quotidiano.

Di cosa tratta il libro, c’è lo racconta l’autore nelle prime pagine:

“quel che ci parla, mi pare, è sempre l’avvenimento, l’insolito, lo straordinario: articoli in prima pagina su cinque colonne, titoli a lettere cubitali [….] I giornali parlano di tutto tranne che del giornaliero. I giornali mi annoiano […] Quello che succede veramente, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo renderne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo?”.

Eccolo quindi cimentarsi con l’esplorazione e la minuziosa registrazione di ciò che osserva e succede nelle vie di Parigi tra palazzi, negozi, edifici, persone che transitano.

Altri elenchi: duecentoquarantatré testi di ipotetiche cartoline inviate da diversi luoghi, tre o quattro righe al massimo. Il girovagare per Londra e le impressioni della città, fino a giungere alla catalogazione di tutto ciò che ha ingurgitato durante l’anno 1974.

Il fascino inusuale di Georges Perec, espresso all’ennesima potenza nel suo volume più famoso La vita, istruzioni per l’uso, si esprime con il frammento, l’incespicare sul reale quasi per caso.

Ma che cosa ha a che fare con il cinema
questo libro di Georges Perec?

Non tratta di cinema ma è cinema lui stesso. Seguite l’autore nelle sue scorribande ed è come se una macchina da presa, folle, inquieta registrasse tutto ciò che accade. Ricordiamo le parole di uno dei protagonisti della Nouvelle Vague e del cinema mondiale, Jean-Luc Godard:

“noi ci consideravamo tutti, ai Cahiers du Cinéma, come futuri registi. Frequentare i cineclub e la Cinémathèque era già pensare cinema e pensare al cinema. Scrivere era già fare del cinema, perché tra scrivere e girare c’è una differenza quantitativa e non qualitativa”.

Georges Perec fa del cinema con la penna, con la macchina da scrivere, è un innamorato della vita e la registra più che descriverla, in tutte le sue forme. Lo stupirsi di fronte a ciò che comunemente non ha nulla da raccontare, questa è la sfida. L’artista francese l’affronta con le parole ma noi vediamo primi piani, dissolvenze, soggettive, carrellate, panoramiche, piani sequenza ecc.

Forse descrivere l’abituale ci permette di meravigliarci, di scovare lo stupore in luoghi nei quali pensavamo non ci fosse, ci permette di porci quesiti, dubbi senza i quali, forse, non varrebbe la pena di vivere.

Quindi sedetevi in sala spegnete le luci e aprite il libro.

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