Paul Kalkbrenner è un produttore berlinese di musica techno, che dalle prime creazioni di inizio millennio non ha mai smesso di sorprendere ed entusiasmare, sia in versione live che in cuffia.

Il suo percorso inizia negli ultimi anni ‘90: lui ha vent’anni, e produce i primi pezzi per l’etichetta discografica fondata da Ellen Allien, Bpitch Control. EP dopo EP si delinea sempre più quella forma prismatica ed unica che oggi ci permette di riconoscere il suo genio in alcuni pezzi già dalle prime quattro battute. Paul Kalkbrenner comincia suonando in club berlinesi, incrementando e ampliando la propria attività soprattutto dopo la caduta del muro. È un ricercatore e uno sperimentatore, inizialmente molto influenzato dai Kraftwerk e da Isao Tomita, dj giapponese solito all’arrangiamento elettronico di tracce classiche. La musica classica gioca un ruolo importante nella produzione del dj tedesco, si tratta infatti del genere musicale che ama ascoltare nel tempo libero, poiché non lo influenza duramente, come potrebbe accadere con la musica contemporanea, ma lo ispira liberamente, permettendo al suo intuito di nutrirsi di antera in antera, come un colibrì.

Al giorno d’oggi, Paul Kalkbrenner è uno dei dj più noti al mondo, i suoi live sono seguiti da migliaia di persone, ha suonato in ogni continente e le reazioni sono affini in ogni luogo: entusiasmo, trasporto, commozione, insaziabilità, fremiti, brividi e sorrisi.
La notorietà internazionale giunge per Paul dopo aver impersonato il ruolo di Dj Ickarus, il protagonista del film Berlin Calling, nel 2008, ed averne composto tutta la colonna sonora, raccolta in seguito nell’omonimo album.
Quelle dodici tracce hanno segnato la consacrazione del dj o musicista techno, come preferisce essere chiamato, anche grazie al mezzo con cui sono state diffuse. Il fatto che Berlin Calling sia stato la colonna sonora di un film, inaspettatamente rivelatosi un successo, ha fatto sì che arrivasse ad un numero maggiore di orecchie e cuori. Ciò non esclude che alcuni album precedenti, da Superimpose, primo temporalmente e legato ad una techno più underground, a Self e Guten Tag, sarebbero potuti piacere tanto quanto, infatti credo non abbiano nulla in meno e questo perché Paul, quando si mette all’opera, pare non sbagliare un colpo. Dal primo album del 2000 al singolo uscito l’8 gennaio di quest’anno, le produzioni del dj berlinese si conquistano il podio dell’originalità, dello sperimentalismo e del coinvolgimento sinergico. Ciò che accomuna tutte le tracce è la percezione dell’intenzione di mandare un messaggio, i cui indizi sono disseminati nei titoli e nei beats.

L’ultima traccia si chiama Graf Zahl, è uscita l’8 gennaio, ed è una pozione di passato, presente e futuro. Il titolo ha due livelli di significato: da una parte si riferisce a Graf Zahl, letteralmente Conte Numero, che è il personaggio molto amato di uno show per bambini, Sesamstraẞe, che era uno dei pochi programmi in onda su un canale della Germania Federale, che a Paul era concesso guardare, essendo lui di Berlino Est; dall’altra parte il termine si riferisce al contenuto del pezzo. La traccia infatti è stata composta mixando una combinazione casuale e ripetuta di alcune registrazioni audio di test telefonici, operati in Germania negli anni ‘60. Ogni tanto si pensa che la musica elettronica sia un genere da rave e ragazzini, un genere distaccato dal reale, che non si carica della sua contemporaneità, ma trovo che questo sia terribilmente erroneo e Graf Zahl ne è la dimostrazione.

La traccia è strutturata su un’architettura sonora e semantica precisa. L’obiettivo di Paul era di creare un pezzo che potesse accompagnare l’attesa snervante e apparentemente senza fine che noi tutti stiamo esperendo da un anno a questa parte, in vista di un ritorno a vivere il collettivo. Così trasmuta e riporta il concetto di contare i giorni, inserendo nel suo pezzo un conteggio effettivo, ripetitivo e casuale di numeri da 1 a 9. Lo sguardo al passato è nostalgico ed individuabile nella scelta di Graf Zahl, Il Conte, che, in un’infanzia difficile e limitata dagli strascichi di uno stato di guerra, per alcuni aspetti comparabile alla situazione di quarantena di oggi, permetteva di staccare ed evadere. È presente anche un riferimento al passato collettivo, riscontrabile nell’utilizzo delle registrazioni telefoniche della Germania anni ’60. Qui, il messaggio è quello di ricordare, in un momento tanto atipico in cui il Coronavirus pare tenerci tutti sotto scacco, che, periodicamente nella storia, il mondo sotto scacco ci finisce e, forse, è il caso di valutare la gravità della condizione prima rivolgendo uno sguardo al passato, perché memoria e consapevolezza aiutano a vivere il presente.

Sembra assurdo pensare che un dj riesca ad inserire in cinque minuti e mezzo di bassi in crescendo, questi messaggi così ampi, ma diventa plausibile se si conosce Paul Kalkbrenner. Quando ho affermato che il dj berlinese non sbaglia un colpo, intendevo proprio questo. Paul muta in continuazione, ma la costante è di forma contenutistica, il messaggio ci sta sempre. Chiunque abbia ascoltato Sky and Sand, forse il suo brano più celebre, prodotto a quattro mani con il fratello Fritz, sa che è una traccia eterna, perché oltre agli arrangiamenti operati ad arte, pare portare in sé una storia di difficoltà, rinascita e riconciliazione. O ancora, considerando Train, una traccia composta mixando i suoni emessi dalla metropolitana di Berlino, si percepisce la città nella sua velocità ingestibile e nel suo contraddittorio inghiottirti senza fagocitarti. Una delle ultime tracce che ha prodotto, uscita l’estate scorsa, è Parachute, che, nonostante l’apparenza commerciale, risulta un’intensa celebrazione della vita e del collettivo, fa venire voglia di spalancare le braccia e richiuderle intorno a chi ti sta accanto, cosa che dovremo rimandare ancora per un po’. Nell’attesa, possiamo farci coccolare dagli inviti all’ascolto e alla riflessione del buon vecchio sensibile sperimentatore Paul Kalkbrenner.

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