I lettori italiani si stanno lentamente abituando ai contributi letterari che sempre più spesso gli immigrati di seconda generazione offrono alla nostra cultura. Qualche volta si tratta dei racconti dolenti di viaggi della speranza, molte altre volte della difficoltà a integrarsi o anche solo a confrontarsi con la cultura e i modelli della nostra vita quotidiana. Quasi sempre, emergono le ottusità, le paure e le diffidenze che il nostro Paese esprime in reazione al loro arrivo.

Le vicende dell’Europa e del Mediterraneo – e non solo – confluiscono in queste bibliografie, utilissime per capire cosa accade intorno a noi e per scoprire contributi originali, a volte anche di pregio.

Lo dimostra un libro uscito di recente per Italo Svevo Edizioni. Si intitola Male a est (pp. 265, euro 18.00) ed è stato scritto da Andreea Simionel, una fanciulla rumena di ventisei anni che da qualche tempo si è trasferita a Torino.

La qualità della scrittura e la maturità della struttura narrativa sono elementi che subito saltano agli occhi in un libro per molti aspetti originale.

Nell’approccio al testo colpisce immediatamente la franchezza, il passo narrativo deciso e senza fronzoli, a volte addirittura la sfrontatezza nel raccontare di molti temi, da rumena in casa propria o da immigrata nella realtà torinese.

“Male a est” è idealmente diviso in due parti, la prima riguarda la vita nel Paese di origine che vediamo svolgersi con molta normalità, con una certa dolcezza e molto calore (che in Italia, la protagonista del libro rimpiangerà). La seconda parte, un po’ più lunga, si svolge invece a Torino con una ragazzina ormai diventata giovane e maggiorenne che deve confrontarsi con i suoi coetanei, con altri usi e costumi e, soprattutto con una lingua nuova.

Proprio quest’ultima sfida offrirà l’estro alla scrittrice (e protagonista) di misurarsi con una lingua che alla fine riuscirà ad amare e capire e la porterà, nei fatti, fino a produrre il bel libro che ora è distribuito in libreria. Andreea impiegherà pochi mesi per imparare e tutti si chiederanno, meravigliati, come mai sia stato possibile questa sorta di miracolo dell’apprendimento.

Nel libro, Adreea Simionel con la lingua ci gioca. Non solo per coniare nuovi termini, ma anche par conferire aggettivi che molto probabilmente a uno scrittore italiano non sarebbero mai venuti in mente, come quando definisce i palazzi di Torino come psicopatici.

Eppure questo successo non garantisce una vera gioia. Chi vive quella condizione, infatti, inizia a percepire come dolorosa la prospettiva dell’integrazione: “integrarsi significa diventare irriconoscibili”. Allora la Romania crudele per la mancanza di lavoro e di prospettive è rimpianta per il calore umano che riesce a offrire. L’Italia dell’accoglienza e delle opportunità è deludente per la sua freddezza.

Nel romanzo tutto quello che riguarda la vita di una giovane donna viene raccontato e, in qualche modo, analizzato. La scuola e le maestre, complici e gentili in Italia, arcigne e autoritarie in Romania. Le parolacce. Il lavoro dei genitori con la figura paterna che esprime tutto il suo rozzo maschilismo anche lontano dalla sua terra d’origine.

Andreea è un nome diffuso in Romania. Per questo motivo la scrittrice ha gioco facile nel giocare, delicatamente, con il tema del doppio: il libro infatti racconta di una Andreea Pavel che parte e di un’Andrea Simionel che emigra, in un pulmino con la madre e la sorella per raggiungere il padre che già da tempo lavora a Torino.

Male a est è un libro che va letto con attenzione dall’inizio alla fine. Vi si troverà durezza ma mai lamento, ironia ma mai dileggio, tenerezza ma mai melassa. E una serie di giudizi sugli italiani, alcuni affettuosi altri no, che verso la conclusione verranno definiti “razzisti gastronomico-calcistici”. D’altra parte il campionato d’Europa l’abbiamo vinto noi. O no?

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