C’è un momento preciso in cui ci si rende conto di essere diventati “i grandi”. Succede quando guardiamo gli adolescenti e ci sembra di non capirli più. Le loro dinamiche, i loro codici, la loro lingua segreta. Netflix, con la miniserie britannica Adolescence, ci sbatte in faccia questa verità con una narrazione talmente cruda da essere quasi insopportabile. Non c’è filtro, non c’è dolcezza: solo un’immersione totale in un mondo che sfugge agli adulti. E questo è, forse, il suo merito più grande.

Il trailer di Adolescence

Perché tutti parlano di Adolescence?

Questa serie ha fatto esplodere il dibattito sin dalla sua uscita. Non solo per i temi affrontati – tra isolamento, violenza sociale e disagio esistenziale – ma per il modo in cui lo fa. L’elemento più evidente è la scelta stilistica radicale: piani sequenza lunghissimi che eliminano qualsiasi via di fuga, per noi spettatori e per i protagonisti. La telecamera li segue senza sosta, registrando ogni esitazione, ogni respiro, ogni scivolamento nell’abisso.

Non c’è una narrazione tradizionale, fatta di introduzione, climax e risoluzione. Adolescence sono quattro ore che si sviluppano in altrettante quattro giornate che scorrono dentro la mente di un adolescente, quella dei suoi genitori, di sua sorella, dei compagni di scuola. E se a noi adulti può sembrare una serie disturbante, è perché siamo noi a non riuscire più a decifrare il loro mondo. Un mondo fatto di codici invisibili che regolano ogni relazione, ogni interazione, ogni esclusione.

L’universo inaccessibile degli adolescenti

Ogni generazione ha avuto il suo gergo, i suoi simboli, le sue regole sociali. Ma oggi il gap tra adulti e adolescenti non è mai stato così profondo. La generazione cresciuta con i social ha creato un ecosistema comunicativo che sfugge completamente ai codici tradizionali.

Basta aprire TikTok o Instagram per trovarsi di fronte a un linguaggio in codice: cuori di colori diversi che significano cose opposte, emoji usate come segnali segreti, frasi che per un adulto sono insignificanti e per un adolescente sono un intero discorso. Un cuore giallo? Amicizia. Verde? Un legame speciale, ma segreto. Blu? Qualcosa di profondo, ma non necessariamente romantico. Nero? Un dolore condiviso, o un’umoristica accettazione del proprio destino.

Il problema è che questi codici non servono solo a comunicare: servono a escludere. Chi non li conosce è fuori, irrimediabilmente. Un tempo il bullismo avveniva nei cortili delle scuole; oggi si consuma nei commenti criptici sotto un post, in una reazione “sbagliata” a una storia, in una parola usata nel modo sbagliato.

Dagli incel ai forum (“subreddit”) tossici: il lato oscuro della solitudine

Uno dei temi più forti di Adolescence è il senso di esclusione. E proprio da qui nasce uno dei fenomeni più inquietanti del web: la cultura incel (involuntary celibate).

Il termine “incel” è stato coniato nel 1993 da una studentessa canadese nota come Alana, che creò un sito web per discutere delle difficoltà nel trovare partner romantici o sessuali. Tuttavia, nel tempo, alcune frange di questa comunità hanno sviluppato atteggiamenti misogini e risentimento verso le donne. Elliot Rodger è diventato tristemente noto per aver perpetrato un attacco nel 2014 a Isla Vista, California, uccidendo sei persone e ferendone quattordici, prima di togliersi la vita. Nel suo manifesto, Rodger espresse sentimenti di odio verso le donne e verso uomini sessualmente attivi, diventando una figura di riferimento per alcune frange estreme della comunità incel. ​

Una lunga intervista, solo audio ad Alana, la ragazza che ha coniato il termine “incel”

Nata negli anni ‘90 come forum di supporto per chi faticava a trovare relazioni, si è trasformata in un movimento dominato da misoginia e rabbia verso le donne.

I teorici di questa subcultura – tra cui appunto Elliot Rodger, hanno trasformato la frustrazione personale in un’ideologia. Il nemico? Il femminismo, accusato di aver sovvertito le dinamiche di potere tradizionali, rendendo impossibile per alcuni uomini accedere a una relazione.

Oggi i forum incel sono vere e proprie bolle tossiche dove il vittimismo si trasforma in odio, e l’odio in azioni pericolose. E, quel che è peggio, stanno diventando sempre più attraenti per gli adolescenti soli, arrabbiati e convinti di essere “scartati” dalla società.

Il bullismo che non lascia lividi
(ma distrugge lo stesso)

Se Adolescence ci mostra qualcosa di innegabile, è che oggi il bullismo non ha più bisogno di un volto o di un luogo fisico. È liquido, ovunque, e soprattutto, invisibile agli adulti.

Nei gruppi WhatsApp, un nome cancellato da una lista può significare una vita sociale spezzata. Nei commenti di Instagram, una frase apparentemente innocua può essere un attacco brutale, comprensibile solo per chi conosce il codice. E poi c’è l’arma più potente: il silenzio. Per un adolescente, il vero inferno non è essere insultato, ma essere ignorato.

Oggi il bullismo non è più una questione di forza fisica: è strategia, è esclusione chirurgica. E quando si sposta online, diventa impossibile da fermare se non ci si prepare per tempo e si decide di affondare mani, piedi, cuore e mente nel mondo dei ragazzi, dei nostri figli.

Cosa ci insegna Adolescence?

Se c’è una cosa che questa serie riesce a fare, è metterci davanti a una realtà scomoda: gli adolescenti non sono più raggiungibili con gli strumenti del passato. Non basta chiedere “come stai?”. Non basta un “parliamone”. Perché il loro mondo non è fatto di parole, ma di segnali invisibili, di codici che noi non siamo in grado di interpretare.

E allora, qual è la soluzione? Osservare. Imparare. Non sottovalutare. E soprattutto, non ridicolizzare. Perché se c’è una cosa che Adolescence ci urla in faccia, è che il mondo degli adolescenti non è un gioco: è un campo minato. E noi, come adulti, abbiamo il dovere di imparare a camminarci dentro, senza esplodere, riconoscendo i nostri sbagli e i nostri limiti.

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