inVisibili è un progetto composito della fotografa, filosofa e formatrice Alle Bonicalzi, dedicato alle e agli adolescenti e giovani tra i 15 e i 25 anni, di ogni genere e orientamento, alla scoperta della loro visione del mondo e di sé.

In sei mesi inVisibili ha coinvolto oltre un centinaio di persone e si offre ora al pubblico in una mostra che permette a chiunque di interrogarsi su che cosa è importante nella vita, che cosa ci nutre e cosa, invece, ci ferisce nel profondo.

Ho intervistato Alle Bonicalzi per noi!

In che cosa consiste il progetto e che tipo di fotografie ha prodotto? 
Il percorso che ha prodotto i materiali in mostra si è sviluppato attraverso tre fasi (libere): un set di ritratto fotografico individuale; un laboratorio di scrittura e cancellatura creativa; un questionario anonimo online decisamente multicolor (tutt’ora accessibile sul sito). 

Il set, ripetuto in più occasioni e in diversi luoghi (tra cui scuole, centri di aggregazione, il mio studio), è un’esperienza  molto speciale – potente e gentile come dico io – perché consiste nell’essere ritratti dietro una lastra di plexiglas.

Questo semplice dispositivo si rivela molto funzionale a livello sia estetico sia etico. La persona ritratta è protetta e non subisce lo squilibrio di potere tipico di tanta fotografia ‘predatoria ‘(ci avete mai  pensato al fatto che fotografare in inglese si dica to shoot, ‘sparare’, così come in italiano diciamo ‘immortalare’ una persona in foto?!). Al di là del plexiglas, invece, è lei che sceglie: quanto e come darsi alla luce.

Il soggetto ritratto come co-creatore dell’opera, dunque? 
Esatto. Complice e co-responsabile dell’immagine prodotta che, a sua volta, si fa occasione di ri-nascita. Io tengo molto, nei miei progetti, all’aspetto etico del ‘fare fotografia’. Perché se è vero – come diceva Laszlo Moholy Naghy – che «non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia, sarà l’analfabeta del futuro» vero è anche che noi oggi siamo in una fase di transizione che definirei ‘bulimica’: ingurgitiamo e rigurgitiamo una quantità  impressionante di fotografie ogni giorno, senza che riescano in alcun modo a sfamarci né, tanto meno, a nutrirci.  Dobbiamo crescere, migliorare. Sia come produttorɜ di immagini sia come soggetti e fruitorɜ.

Vedo che anche Alle Bonicalzi utilizza lo scevà, perché lo fai? Non complica la tua  comunicazione? 
Anzitutto una precisazione e qualche informazione in più per chi non fosse… addentro la materia. Io personalmente uso al singolare lo scevà /ə/ e al plurale lo scevà lungo /ɜ/ negli scritti in cui voglio o ho bisogno di usare un linguaggio inclusivo non binario (ormai, quindi, praticamente sempre); nel parlato, invece, preferisco usare la desinenza /u/, sia al singolare sia al plurale, poiché più facilmente pronunciabile. Durante la lavorazione di inVisibili sono entrata in contatto con uno splendido gruppo di giovanissime persone molto attive per i diritti lgbtqia + (ComoPride – n.d.a. –). Con la loro partecipazione entusiasta e la loro esperienza diretta, talvolta dolente, mi hanno insegnato moltissimo e ispirata altrettanto. Grazie a loro ho consolidato la mia riflessione sulla lingua e sviluppato questa attenzione e scelta per il linguaggio inclusivo. Quindi sì, l’uso di queste strane lettere è voluto; ma no, non sono qui né a imporlo né a giurare che sarà il futuro. È un esperimento: intelligente, divertente e folle  (nell’accezione più positiva, che forse dovremmo tradurre con queer!).  

Non so voi, ma io non vedo l’ora di vedere dove ci porterà: tuttɜ e ciascunə di noi!

Tornando alla tua mostra, perché inVisibili
Il progetto nacque lo scorso autunno, quando ebbi l’opportunità di insegnare filosofia in un liceo comasco. Nel preparare le lezioni e il programma mi imbattei in una scoperta tanto evidente da sfuggire spesso aɜ più. Nella storia – sia essa della filosofia, della letteratura, dell’arte o semplicemente quella ‘generale’ – non c’è praticamente traccia di nessun altrə che non sia un maschio bianco etero abile e benestante… Non ci sono (se non sporadicamente e marginalmente) donne. Non ci sono persone omosessuali. Non ci sono identità non binarie. Non ci sono persone con disabilità. Poveri e persone di colore, quando ci sono, sono relegate a sfondo (e sfruttate). Da quella riflessione nacque una prima serie fotografica (PhilosopHERs) ma soprattutto la voglia di approfondire il tema e di farlo insieme alle e agli studenti con cui stavo in aula.

Anche le e gli adolescenti, in fondo, sono poco visibili, trascuratɜ… è per  questo che inVisibili si rivolge a loro? 
Esatto (mi leggi nella testa :-)). Io, tra l’altro ho due figlie di 16 e 17 anni; se penso soprattutto agli scorsi anni di  pandemia e lockdown, vedo davvero chiaramente la loro sofferenza ma, allo stesso tempo, vedo l’indifferenza del mondo adulto (della scuola in primis) che ha ‘dovuto’ (o pensato di dovere) tirare avanti, nonostante l’accaduto (invece che a partire da esso). L’adolescenza invece è un’età che io trovo splendente.  

Un’età delicata e di passaggio per sé: non si è più bambinɜ ma neppure ancora adultɜ. È un’età ‘pericolosa e creativa’ (come ci insegnano le neuroscienze). Un’età decisiva nella costruzione della propria identità, personale e sociale. Un’età che merita di essere guardata e vista!  

Lontano dall’aggressività dei social, dall’abbuffata di selfie, dalla paura del giudizio altrui (ma anche proprio) di non essere abbastanza. inVisibili dà voce, corpo e luce alla visione del mondo di chi, spesso, è ai margini. Nessunə esclusə. Non a caso, come ogni mio progetto, è lgbtqia + friendly, antirazzista, transfemminista, laico e accogliente delle differenze. Come dovrebbe essere il mondo intero.  

Ma quindi, in cosa consiste la mostra, che tipo di opere sono esposte? 
inVisibili’ si mostra attraverso una serie di opere foto-grafiche e due esperienze di interazione. 

I materiali visivi in mostra sono ritratti fotografici di adolescenti e del colore delle loro emozioni, nonché testi – sia manoscritti e manomessi sia compilati ad arte tipograficamente – che rispondono alle domande del questionario, permettendoci di vedere il mondo attraverso gli occhi altrui: ottimo esercizio di democrazia. 

• I corner interattivi riguardano, rispettivamente, le cose più belle e le più brutte che ci abbiano mai detto. Accanto alle  risposte delle e degli adolescenti, si apre la possibilità, per il pubblico, di dire la sua, di partecipare. L’invito, per tuttɜ, è semplice: #NelDubbioTuSplendi

Prima hai accennato alle neuroscienze, che cosa c’entrano con il lavoro di Alle Bonicalzi? 
Le neuroscienze ci insegnano che l’adolescenza è davvero un momento unico della vita: pericoloso e creativo, come dicevo prima. Mentre il corpo prende forma e forza, il cervello va creando e sostituendo innumerevoli connessioni che pian piano – poi – costituiranno una ‘salda’ rete neurale capace di interpretare il mondo in maniera efficace. Per sopravvivere.

Ma questo, appunto, poi. Prima, in adolescenza, la questione vitale è… non morire. Sopravvivere, anzitutto a se stessɜ! 

Un lavorìo quotidiano, sistematico e impegnativo, che porta l’adolescente a partorire il proprio sé adulto. Un lavorìo prezioso, unico, fragile. 

Un lavorìo spesso incompreso, indispettente… invisibile

E la filosofia, invece? Che cosa ha a che fare con il tuo fare fotografia? 
La filosofia (la fenomenologia in particolare) ci insegna che, per essere, bisogna essere visti. Da qualcuno che non sono Io. Da un Tu. È infatti nello sguardo dell’altro-da-sé che ci si riconosce per ciò che si è (o si diventerà). 

La vita, quindi, è relazione: entro la quale ciascunə di noi si ri-conosce. Emerge dall’ombra, si dà alla luce, si fa non-più-invisibile. 

Di qui ciò che per me significa ‘stare con l’adolescenza’, che è poi il cuore e la dedica del mio ultimo lavoro. Stare con l’adolescenza significa anzitutto guardarla per vederla. Ma stare con l’adolescenza significa anche nutrire l’adolescente che siamo stati e state (e che il nostro cervello può continuare a essere, in parte).  

Stare con l’adolescenza significa, soprattutto stare: in ascolto, in costruzione, in evoluzione creativa, dalla parte di chi è  più fragile. Stare e stare bene. Anzitutto con se stessɜ.

Grazie Alle Bonicalzi, in chiusura ci puoi dire dove e quando poter vedere e…  interagire con inVisibili
Grazie a te Elena per questa opportunità di raccontare il progetto. Vi aspetto in mostra a Como prestissimo e a Milano in primavera:  

dal 9 al 30 ottobre 2022 – Ex Tinto-stamperia Val Mulini di Como 

con l’associazione Oltre il Giardino, in occasione della Giornata mondiale della salute mentale (10 ottobre). • il 29 e 30 novembre 2022 – Teatro Sociale di Como 

in collaborazione con lɜ ragazzɜ di ComoPride. 

dal 3 al 28 maggio 2023 – Mostra al cubo, presso Pacta Salone di via Dini a Milano a corredo della stagione DonneTeatroDiritti.  

Chi poi desiderasse proporre il progetto e/o la mostra altrove può scrivermi: info@allebonicalzi.com

Un’ultima domanda: perché «nel dubbio tu splendi»? 
È l’hashtag della mostra (e sarà una spilletta!)… L’invito è duplice e (per me) prezioso da tenere a mente, per ogni  adolescente ma non solo! 

In un primo senso è un promemoria: anche quando sei in impasse e non sai che fare – nel dubbio – tu splendi, ossia ardi! Brucia di passione e entusiasmo ché, altrimenti, sei già mortə. 

In un secondo significato (il contro-senso!) è una scoperta: è nel dubbio che chiunque splende: il meglio di sé brilla  quando ci si fa domande, quando ci si mette in discussione. Si splende, cioè, quando si è filosofə. E, in fondo, perché non esserlo?! 

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