Vita Dulcis è l’esposizione inaugurata da qualche giorno a Roma che mescola sculture e reperti vari dell’arte classica romana (provenienti dalle sedi del Museo Nazionale Romano) con opere originali di Francesco Vezzoli (bresciano, classe 1971), rappresentative della ricerca artistica da lui sviluppata negli ultimi anni.

La mostra è dedicata a rileggere e attualizzare, attraverso un inedito e sorprendente dialogo tra arte contemporanea, archeologia e cinema, il fascino che ha sempre esercitato l’antica Roma”.

Il percorso espositivo si snoda attraverso 7+1 sale (considerando anche la Rotonda centrale che accoglie i visitatori subito dopo l’entrata) in ciascuna delle quali è sviluppata una specifica tematica.

Sculture e opere varie, insieme alla proiezione di alcune pellicole ambientate nell’antica Roma (da cui il riferimento alla Dolce Vita, ispirazione per il titolo della mostra), creano una narrazione tra diversi linguaggi che immerge il visitatore in una miscela fatta di cultura da museo e sua rivisitazione contemporanea e pop. Il gioco, apparentemente semplice, è quello dei continui rimandi e riferimenti.

Il generale romano, con caschetto in bronzo da moderno ciclista, ci osserva, insieme al busto di Achille (truccato con una pittura acrilica) e al possente Alessandro Magno, per celebrare il culto della guerra che garantisce la pace nel proprio Stato (“Si vis pacem, para bellum“), con le scene del Gladiatore di Ridley Scott in sottofondo.

La bellezza di Antinoo, replicata in sei versioni che richiamano il David Bowie di Alladin Sane, ancora ammalia l’imperatore Adriano e il suo epigono, Francesco Vezzoli stesso.

L’apoteosi della femminilità è rappresentata dalla Venere paleolitica di Willendorf, attuale tanto quanto le forme abbondanti di Kim Kardashian e spiazzante come le teste virili degli imperatori romani (Marco Aurelio e Domiziano) innestate su corpi femminili.

Un decadente Satyricon, truccato e con foglie d’oro al capo come nell’omonimo film diretto da Federico Fellini, ammira, con noi e altri commensali seduti alla tavola di Trimalcione, l’Ermafrodito dormiente, ieri come oggi oggetto del nostro voyeurismo.

Francesco Vezzoli mescola il colto e il popolare, l’alto e il basso

Una sequenza di sei sculture luminose (provenienti dal progetto 24 Hours Museum del 2012 al Palais d’Iéna a Parigi) propone i busti di sei Veneri, celebrate come dive contemporanee grazie alle fattezze di sei star moderne, trasformate nel personale oggetto di venerazione dell’artista, la propria madre, i cui occhi sono stati applicati sui volti delle divine.

La vera celebrazione del vezzolismo, che esalta le celebrities e si nutre di celebrities, in un cortocircuito in cui non c’è distinzione tra l’alto e il basso, il popolare e il colto, l’erotismo e la pornografia, il kitsch e il camp, prende corpo nella sala più ricca di reperti, o presunti tali.

In Mixtura Dementiae frammenti, fregi, decorazioni considerati residuali (attualmente conservati nei depositi museali) diventano oggetti fetish (il piede votivo ritoccato con lo smalto rosso, il pene in tufo rivestito di cuoio) e ben si combinano con le scene decadenti ed orgiastiche del Trailer for a remake of Gore Vidal’s Caligula, rivisitazione del film Caligola di Tinto Brass, sceneggiato proprio da Gore Vidal.

Il mimetismo di Francesco Vezzoli frastorna e confonde: cos’è più vero e reale tra i voti sacri a forma di conchiglia, celebranti la fertilità femminile, e i piedi dalle unghie laccate? La rappresentazione della storia romana fornita dal cinema (soprattutto quello hollywoodiano) ha contribuito a costruire un’idea della romanità classica che, spesso, ha sostituito la verità storica, almeno nel nostro immaginario.

In fin dei conti non è interessante sapere che il remake di Caligula non abbia mai visto la luce se la sua essenza è tutta nel trailer: abbiamo creduto all’esistenza di un profumo mai prodotto, Greed, solo grazie alla potenza della sua campagna pubblicitaria fatta a colpi di dive.

Immersi come siamo nell’epoca della post-verità, da tempo siamo ben disposti ad accettare una narrazione affascinante contrapposta ad una realtà spesso deludente, in un tempo in cui tutto sembra già essere stato scritto e inventato.

Nel 2021 la Galleria Borghese ospitò Damien Hirst con una mostra, Archaeology now, proveniente dalla serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable, già presentata nel 2017 a Venezia.

Le opere di Hirst dialogavano con i capolavori antichi della galleria, in un’operazione che ci raccontava di un grande mito i cui resti, strappati dalle profondità marine, ci suggerivano l’esistenza di una civiltà del passato, oscura e sommersa, violenta e kitsch, fantasiosa e verosimile (con tanto di video documentari a testimonianza del suo ritrovamento).

L’archeologia di Francesco Vezzoli, così come quella di Hirst, è tutta concentrata sull’esperienza spettacolare che offre al visitatore, fissata sul momento presente e valutata in base alla sua instagrammabilità. Si potrebbe obiettare che, ai tempi del cardinale Scipione Borghese, il dialogo con il passato è stato affidato ad artisti del calibro di Bernini e Caravaggio, ma è da Duchamp in poi che non ci preoccupiamo più della qualità del manufatto.

Potenza della comunicazione e strapotere dei media: tutta colpa delle piattaforme digitali?

Era l’inizio del nuovo millennio quando oltreoceano un personaggio dal look androgino, parrucca bionda e occhiali scuri, scalò le classifiche letterarie e divenne una star.

J.T. LeRoy: si chiamava così quel ragazzo segnato da un’infanzia difficile, che lo aveva portato ad assumere un’identità sessuale promiscua, riscattato dal successo dei suoi due romanzi bestseller, amato dallo star system e inglobato in esso, destinato a diventare anche il protagonista di un film tratto dal suo libro, Ingannevole è il cuore più di ogni cosa (girato da Asia Argento nel 2004).

J.T.Leroy non è mai esistito: era nato dalla scrittrice Laura Albert e interpretato da Savannah Knoop, sorellastra del suo compagno.

Poco importa se il castello di carte implode per puro caso solo nel 2006, che Savannah abbia scoperto (grazie a questa vicenda) la sua fluidità di genere, che abbia scritto un libro di memorie da cui è stato tratto un film che di quella vicenda parla (JT Leroy interpretato da Kristen Stewart) e che Laura Albert abbia comunque continuato una carriera da scrittrice: la verità, e la vita reale, sono la parte meno interessante di tutta la storia.

VADEMECUM  

VITA DULCIS. PAURA E DESIDERIO NELL’IMPERO ROMANO – Presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 22 aprile al 27 agosto 2023.

A cura di Francesco Vezzoli e Stéphane Verger

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