Ormai la domanda non è più “che cosa pensi?” ma “come ti senti?”. Ci interroghiamo l’uno sullo stato di salute dell’altr*. Sull’umore, sul sentimento o risentimento, sullo stress. Cominciano tutte con l’anamnesi del proprio disagio mentale, le discussioni politiche.

C’è chi trema di freddo con i migranti abbandonati in mare mentre le onde si alzano fragorose. C’è chi soffre di insonnia per i continui bombardamenti che scuotono la terra d’Ucraina, come se gli ordigni gli scoppiassero ai piedi del letto. C’è chi sente un cerchio alla testa tutte le volte che pensa al governo italiano in mano a Fratelli d’Italia (con quella fiamma tricolore nel simbolo…) e c’è chi si eccita della novità di avere una donna a capo dal governo e ricorda Fratelli d’Italia nelle sue preghiere.

Tutti esaltano il proprio sintomo, come se fosse un segnale di pulizia etica, di sensibilità umana, di santità. Più che ragionare ci si butta addosso ciascuno il suo mood. Chi non è sintonizzato sulla tua sensibilità finisci di odiarlo selvaggiamente, come se ti avesse rubato qualcosa, come se ti avesse avvelenato il cane. In questa baraonda ci si offende e ci si perdona, poi ci si offende di nuovo. E il rancore scava solchi.

Dove è finita la piazza politica?

Grande assente: il ragionamento politico, la posizione chiara e motivata, il pensiero che mette in moto la proposta che migliorerà la condizione condivisa come negativa, preoccupante, controproducente. Pare diventato impossibile il confronto razionale. Ci si gonfia il fegato a leggere o ascoltare i tifosi dello schieramento avversario, si scagliano contro Tizio e contro Caio parole imprudenti, si parla molto, ma è sempre stadio, curva sud, caffè sport, mai agorà, mai piazza politica. Mai simposio o scuola quadri. O corso di formazione.

Infatti ciascuno resta della sua idea, nessuno fa un passo avanti. Anzi: si usano le idee degli altri per riaffermare e radicalizzare le proprie: “Qui comando io perciò faccio così e cosà”, “Ah sì? Bene: allora io ti boicotto e vediamo chi ce l’ha più lungo”.

Grande assente: lo spirito di servizio. Grande assente: il legittimo desiderio di vivere in serenità, giustizia, uguaglianza, fraternità. Grande assente: qualcuno che lo chieda, di vivere in una società equa, ma soprattutto qualcuno che lo prometta.

Qualcuno chi? Un partito. Quando ascolto, in televisione, quell’aula fighetta che ha sostituito il Parlamento, i professionisti della politica postmoderna scannarsi e mandarsi al diavolo e parlare in codice incuranti di chi, non essendo un professionista della politica, vorrebbe capirci qualcosa, quando li ascolto e prima di spegnerli per guardare un film su Mooby, mi piovono addosso fiumi di inattesi rimpianti.

Rimpiango quell’epoca lontana in cui c’erano i partiti. Soprattutto i grandi partiti di massa, quelli fondati su alcuni valori non negoziabili ed eterni. La fede, non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, carità e compassione, aiutare gli ultimi: la Democrazia Cristiana. Lottare contro le diseguaglianze. Dare a ciascuno secondo le sue necessità, chiedere secondo le sue possibilità. Lottare contro lo sfruttamento, mettere il bavaglio alle mire del capitale, dare forza e peso alla classe operaia, ai lavoratori: il Partito Comunista.

Rimpiango il dibattito politico. Le due Chiese, ciascuna con la sua trascendenza: il Paradiso, il Sol Dell’Avvenir. Io ero per il Sol dell’avvenir. Rimpiango, soprattutto, lo devo ammettere, il senso di appartenenza che dirmi comunista mi ha regalato in tenera età. Ero una comunista di 14 anni, appena iscritta alla Fgc gestita da un Massimo D’Alema ragazzino. A 17 anni avevo già capito che l’Unione Sovietica non era gestita dai buoni, ero già critica, ero già fuori, nel disordine del movimento studentesco.

Poi il movimento si è condensato in qualche partitino extraparlamentare: ho militato lì, in Lotta Continua. Quando ho smesso di militare ho continuato a dirmi di sinistra, a comportarmi come una persona di sinistra, a guardare il mondo da sinistra, a votare a sinistra.

Quando il Pci ha cambiato nome ho accettato tutte le sue mutazioni. Ho votato PDS e poi DS e poi Pd. Adesso mi è morto anche il Pd. All’ultimo giro di giostra non l’ho votato. Sono una monade senza partito che si aggira per il pianeta, disorientata.

Ho soltanto due leader: un papa e una ragazzina. Francesco e Greta. Me li farò bastare. Intanto, per chi soffre la politica consiglio un classico di John Ford, L’uomo che uccise Liberty Valance, con James Stuart che fa il senatore nel selvaggio west e John Wain che fa il vero eroe (frase storica: “qui siamo nel west, dove se la leggenda incontra la realtà vince la leggenda”). E’ del 1961. Ma lo trovate in rete. Io l’ho rivisto lì, per la dodicesima volta.

Da leggere consiglio Il mago del Cremlino di Giuliano da Empoli, che ti fa capire tanto di Putin e dei suoi, e anche di chi li ha preceduti.

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