A decretarne il successo è stato forse il lockdown, che ci ha obbligati a stare chiusi in casa e ci ha spinti a cercare nuove piazze virtuali in cui confrontarci, in cui ascoltare ed essere ascoltati, in cui poter dare voce al proprio pensiero: sto parlando di Clubhouse, il nuovo social nato in piena pandemia, che sta crescendo a un ritmo vertiginoso di mezzo milione di nuovi utenti al giorno e su cui si potrebbero già scrivere fiumi di parole. Ma qui proverò a mettere in campo il dono della sintesi, per raccontare come funziona e cosa ne penso.

I fondatori sono Paul Davison, imprenditore della Silicon Valley e Rohan Seth, ex Google. Tra i principali investitori Andreessen Horowitz, gigante del venture capital. Sul sito ufficiale Clubhouse è definito come “un nuovo prodotto social basato sulla voce che permette alle persone, ovunque si trovino, di chiacchierare, raccontare storie, sviluppare idee, approfondire amicizie e incontrare nuove persone interessanti in tutto il mondo”.

Clubhouse, in effetti, è un social network davvero diverso dagli altri: è solo audio, non si può scrivere e non si possono postare né foto né video. Non ci sono i selfie e le foto patinate e ritoccate di Instagram, non ci sono i video e i balletti di TikTok, non ci sono gli stati di FB e neanche i like. Da non crederci vero? Ma è proprio così. Qui ci sono le room, le stanze virtuali – principalmente tematiche ma non solo – in cui si ascolta, si parla e ci si confronta solo con la voce, attraverso messaggi vocali, con amici, colleghi, professionisti o con persone appena conosciute sull’app, che possono trovarsi anche nell’altro emisfero.

Per esprimere apprezzamento si utilizza talvolta la funzione applausi, accendendo e spegnendo ripetutamente il microfono. Chiunque può aprire una stanza e la partecipazione può variare da pochissime a migliaia di persone, in funzione dell’interesse sul tema trattato nella stanza, dell’autorevolezza e della notorietà di chi la apre. Ogni room ha uno o più moderatori e due tipologie di partecipanti: gli speaker sul palco e il pubblico in ascolto, che può chiedere di intervenire “alzando” la mano. In Italia, al momento, è utilizzata principalmente da comunicatori, esperti di marketing, giornalisti e celebrity.

L’applicazione è ancora in fase beta, disponibile al momento solo per iOS e, in teoria, ci si può iscrivere solo su invito; in pratica, oggi, basta scaricare l’app, compilare i dati richiesti, mettersi in lista d’attesa e avere un amico o un conoscente che è già iscritto e ti permette di entrare. Io sono entrata così, su nomination di Diego Biasi, e a mia volta ho fatto entrare amici, colleghi e giornalisti del mio network. Ci sono entrata domenica 31 gennaio, proprio il giorno in cui è sbarcato sul social Elon Musk, fondatore di Tesla, il cui ingresso ha rischiato di mandare in tilt i server della Piattaforma (in pochi minuti la stanza si è affollata con oltre 5.000 partecipanti), cosa che comunque è accaduta qualche giorno dopo. E, se questo accade, significa che l’obiettivo di diventare virale è stato raggiunto. Anche Mark Zuckerberg, founder di Facebook, è appena arrivato in Clubhouse, precisamente venerdì 5 febbraio, con nickname @zuck23.

E quindi… tutti pazzi per Clubhouse? Assolutamente no. Accanto agli entusiasti e agli esperti che lo vedono come il social del futuro ho già sentito critiche, commenti negativi e stroncature. Scetticismo? Snobismo? Non lo so, fortunatamente a questo mondo non tutti la pensiamo allo stesso modo.

A me piace e lo sto studiando.

Mi piace perché bisogna davvero metterci la faccia. Lo si fa attraverso la voce. Quando si parla si esprimono delle opinioni, davanti a una platea, per la maggior parte sconosciuta, spesso preparata e interessata ai temi su cui discute. Quindi bisogna prima di tutto ascoltare, poi pensare a cosa dire – se si vuole intervenire – e, infine, dire delle cose intelligenti, pertinenti e non banali, altrimenti è meglio stare zitti.

Mi piace perché sono curiosa di natura e considero una grande opportunità incontrare e conoscere persone nuove. E qui si possono costruire relazioni con persone accomunate, se non altro, da interessi affini. Non è come conoscere qualcuno su Facebook o su Tinder. Inoltre, cosa non banale, in una delle innumerevoli room può capitare di interagire con personaggi autorevoli, personaggi pubblici, celebrity.

Mi piace perché, almeno fino ad ora, ho avuto la sensazione di un livello di conversazione in generale più elevato, rispetto agli altri social e, soprattutto, maggiore educazione e rispetto delle persone.

Al momento ho un solo Non mi piace. Ed è quello che noi comunicatori chiamiamo time consuming. Eh si. Più degli altri social, Clubhouse, richiede tempo e concentrazione. Non si può mica entrare e uscire da una stanza come si fa sulle altre piattaforme, perché poi si perde il filo del discorso e allora è stato tutto inutile.

Un’ultima osservazione e poi mi fermo e ve lo lascio scoprire da soli. La domanda nasce spontanea. Con room così tematiche e verticali, sicuramente farà gola a molto brand e quindi, quando arriverà la monetizzazione? E di che tipo? Stanze a pagamento? Sponsorizzazioni delle room? Pubblicità targetizzata come negli altri social?

Lo scopriremo solo vivendo, come diceva qualcuno.

Il mio consiglio, intanto, è di scaricare l’app e bazzicarci dentro per capire se vi piace o meno e, se avete ancora voglia di approfondire, vi invito a vedere la 26ª puntata di R3START! TV, dedicata proprio a questa piattaforma.

Beatrice Caputo, BPRESS

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