Tempo fa mi capitò di assistere ad una bella lezione del professore Giorgio Parisi, fisico di fama internazionale, Presidente dell’Accademia dei Lincei, sul rapporto tra scienza e società complessa. Due cose mi hanno colpito.

Da un lato, il rivendicare quanto il principio del piacere sia alla base dell’attività scientifica, se non altro come elemento psicologico del ricercatore. Dall’altro l’aver citato il famoso intervento dell’intellettuale e rivoluzionario russo Nikolaj Ivanovič Bucharin in cui questo dato veniva derubricato a psicologismo di scarso interesse sociale: la scienza emerge piuttosto oggettivamente come attività sociale fondamentalmente pratica.

Tecnologia e oscurantismo di massa

Infine Giorgio Parisi ha posto anche la questione del “futuro della scienza in una società tecnologica avanzata” sottolineando come tale futuro sia tutt’altro che roseo per l’attività scientifica.

Soffermandosi sull’uso quotidiano della tecnologia (smartphone e internet) Giorgio Parisi ha evidenziato quanto esso stia producendo fenomeni di oscurantismo e irrazionalismo di massa che tutto sono salvo che fattori favorevoli allo sviluppo della scienza.

Sono intervenuto con una domanda che metteva insieme queste tre cose.
Mi sembra infatti che ci sia un non-detto nell’attuale concezione del progresso scientifico che sembra andare esattamente in direzione di una abolizione della scienza come attività umana organizzata.

Sembra che il futuro di una società iper-tecnologica sia ostile alla scienza non solo per la reazione irrazionalista di cui sopra, ma per un motivo interno, immanente alla attuale configurazione del rapporto tra scienza, potere, profitto e società.

Gran parte del lavoro materiale ed intellettuale di contorno all’attività di ricerca (per tacere del nostro quotidiano) risulta sempre più automatizzato. Perché devo sforzarmi di risolvere equazioni complesse se una macchina può farlo per me, meglio e in minor tempo?

Tuttavia, ho sottolineato, il recente revival dell’intelligenza artificiale sta ipotizzando la costruzione di algoritmi in grado di sostituire l’apporto umano anche dal punto di vista creativo.

Perfino in quell’attività creativa sui generis che è la scienza si ipotizza la costruzione di un algoritmo in grado di formulare ipotesi e verificarle, di automatizzare insomma lo stesso processo scientifico.

Ho chiesto al professor Parisi se considerasse questa eventualità plausibile e auspicabile. La sua risposta è stata problematica ma significativa.

Giorgio Parisi e il concetto di interessante
nella ricerca della verità

Ha iniziato esprimendo scetticismo sulla capacità dei computer di assolvere a questo compito facendo l’esempio della matematica, dove l’automazione dei processi cognitivi non ha portato né all’individuazione, né alla soluzione di teoremi interessanti. Questa parola è stata centrale nella conclusione della risposta alla mia domanda.

Giorgio Parisi sosteneva infatti che una macchina, ammesso che riesca a conoscere il mondo, non può da sola definire ciò che di interessante c’è nella ricerca di tale verità sul mondo.

E questo secondo me è un nodo centrale e anche il punto cieco dell’attuale concezione del progresso scientifico. Sia da un punto di vista psicologico che da uno sociale, il problema di cosa sia interessante e di quali interessi muovano il sapere sul mondo rimane ineludibile.

Nessuna risposta tecnica, neutrale, scientifica in senso stretto potrà mai essere data a questo riguardo perché, molto semplicemente, non esiste. Non esiste un interesse o qualcosa di oggettivamente interessante là fuori che avrei il compito di scoprire e formulare in modo asettico e impersonale.

Quel taglio sul reale, come lo chiamava Weber, da cui soltanto emerge il significato di ciò che facciamo rimane il vuoto ascientifico attorno a cui si organizza l’attività scientifica e senza il quale nessuna scienza sarebbe mai stata tentata.

Perfino nel suo opporsi ad una totale presa da parte del sapere calcolante esso offre una resistenza a partire da cui la ricerca si organizza e perfeziona. E pensare di poterlo eludere, riempire, meccanizzare è la grande distopia scientifica del nostro tempo.

Il lettore curioso potrà approfondire questi temi con un interessante video in cui Giorgio Parisi risponde alla domanda: “a cosa serve la scienza?”.

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