Il senso degli Etruschi per l’eros
Per conoscere l'eros degli Etruschi bisogna visitare Tarquinia, dove le pitture murali delle tombe e le ceramiche dipinte racontano un eros spregiudicato e libero.
L’uomo è seduto a terra, il suo fallo è in erezione. Con le mani alza la gonna della donna, che sta in piedi di fronte a lui e lo guarda con espressione compiaciuta e divertita. Anche lui è compiaciuto di ciò che vede. Un gallo, dalla cresta rossa, turgida e irta, assiste alla scena. E’ l’eloquente scena erotica dipinta su una bellissima anfora esposta presso il Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia. E’ qui che bisogna venire per conoscere l’eros degli Etruschi. Un viaggio che non è solo una trasposizione geografica nello spazio, ma anche e soprattutto uno spostamento nel tempo, a ritroso di circa duemilacinquecento anni.
Bisogna infatti tornare al VI secolo a.c. per godere dello splendore della civiltà etrusca, che in quel tempo visse il suo climax culturale, artistico ed economico. Ed è quell’epoca d’oro che dobbiamo esplorare per conoscere l’eros degli Etruschi.
Naviganti incontrastati del Mediterraneo, detentori dei segreti della lavorazione del ferro, talentuosi orafi, eccellenti maestri vasai, gli Etruschi coltivarono con grande cura il senso della bellezza e dell’eros come espressione massima dell’energia vitale. Nella Necropoli di Tarquinia, che conta oltre duecento tombe ipogee dipinte, non c’è decorazione che non esprima il turgore dei corpi, la carnosità delle forme, la voluttuosità delle danze, la lascivia degli sguardi. Qui tutto parla di erotismo: uccelli che si librano in volo con corpi affusolati, delfini che si tuffano nelle onde con pelli lucenti, tori itifallici, leonesse che si fronteggiano bellicose con mammelle gonfie di latte, leopardi che spalancano le fauci per mostrare rosse e turgide lingue carnose, danzatori abbronzati e muscolosi che danzano con giovani donne dalla pelle candida come neve, vesti trasparenti che ondeggiano sospinte da refoli d’aria, suonatori che a dorso nudo stringono tra le labbra il doppio flauto per sonorità che immaginiamo languide e seducenti.
Non si può sfuggire alla forza seduttiva dell’erotismo etrusco, perché non era solo manifestazione della sessualità e del piacere fisico, ma era affermazione di quella potenza vitale indispensabile per garantire una nuova vita materiale dopo la morte. Eros insomma come trionfo della vita sulla morte, come gioia di vivere. E’ in questo senso che va interpretata la tomba della Fustigazione, a Tarquinia, dove una violenta scena erotica ci mostra una donna piegata tra due uomini che nel possederla sono intenti a frustarla e schiaffeggiarla. La donna non mostra sofferenza, anzi è parte attiva di un gioco erotico anche violento, perché la violenza era simbolica e serviva ad esprimere la forza primaria della vita. Ed è talmente partecipe, la donna, che addirittura sembra praticare una fellatio all’uomo che le sta di fronte. Dico sembra perché nel tempo ormai troppe mani di visitatori maliziosi hanno toccato proprio in quel punto la scena, cancellando i pigmenti che la contraddistinguono. E dunque bisogna lavorare un po’ di fantasia, ma la posizione lascia poco spazio al dubbio.
Nella tomba dei Tori altre due scene erotiche catturano gli sguardi. A sinistra due uomini e una donna sono avvinghiati in un intricato incastro erotico, che meriterebbe un approfondimento a parte, mentre a destra sono due uomini ad avere un rapporto anale. Ad entrambe le scene assistono due splendidi tori, essi stessi simbolo di virilità, potenza e fertilità, simbolo del potere di procreazione e quindi espressione della possibilità di estendere la vita.
Ma mentre il toro di sinistra non sembra curarsi del baccanale che si svolge alle sue spalle, a destra il toro guarda la scena omosessuale e si dirige con determinazione verso i due uomini. I più interpretano questa scena come un’aggressione, cioè il toro rifiuta l’atto omosessuale ed è in procinto di colpire con le corna i due uomini. Ma a ben guardare, si nota che il toro ha il suo fallo in erezione, dunque è eccitato e attratto dalla scena. Non va decodificato allora come un segno di approvazione? Un’interpretazione, la mia, un po’ fuori dal coro, ma che trova conforto in molte altre raffigurazioni omosessuali, come l’anfora etrusco-campana conservata nel Gabinetto Segreto del Museo Archeologico Nazionale di Napoli in cui due atleti sono impegnati in un ardente scena di sodomia, o come la pittura murale della Tomba delle bighe di Tarquinia, dove due giovani uomini seduti sugli spalti di uno stadio amoreggiano mentre un altro uomo assiste alla gara incurante di loro. Nella cultura etrusca infatti, come in tante altre culture dell’antichità, non vi era differenza tra uomini e donne in ambito sessuale, ma la bisessualità era consuetudine.
Non si creda però che il sesso fosse scevro di tenerezza e complicità, come nel dolcissimo sarcofago di Larth Tetnies e della moglie Thanchvil Tarnai, oggi conservato al Museum of Fine Arts di Boston, ma ritrovato a Vulci, antica città etrusca poco distante da Tarquinia. Nella scultura i due corpi nudi si sfiorano, mentre le mani afferrano voluttuose le spalle, il collo e il busto del coniuge. Gli sposi si guardano negli occhi alla ricerca di un’intensa intimità. Un leggero lenzuolo li copre solo dai fianchi in giù, celando a mala pena le forme sensuali dei bacini e delle gambe. Qui è impossibile distinguere l’erotismo dall’amore, la tenerezza dalla sensualità. E’ un abbraccio muliebre in cui la donna, completamente emancipata, guarda il suo uomo negli occhi da pari a pari, in un rapporto egualitario di complice compenetrazione e di indissolubile lealtà.