(English translation below)
Ancora fino a pochi anni fa, a ottobre (l’otto, per la precisione) si festeggiava il compleanno di mia moglie, della “mamma”, e si offrivano i doni della festa. Ormai Paola non è più tra noi, ma alcuni di quei doni sono restati, ed è come ci guardassero perplessi, interrogativi, privi di uno scopo. Restano tangibili, ma la loro ragione d’essere è svanita. È così per tutte le memorabilia di un morto, una selva nella quale durante e dopo il lutto dobbiamo addentrarci, questione di fare spazio, di scoperte inattese, di pulizia. Questione di persistenza di un amore.

Sin dai primi passi di questo viaggio, si è strappati via alle nostre certezze, al nostro tempo, e si entra in un cammino sconvolgente: gli oggetti delle persone morte e a noi care, il riordino e la scoperta di una vita attraverso una materia inerte, che attende silenziosa il suo destino: cose buttate via, riassegnate ad altri, riposte in un armadio per un’ibernazione dai tempi ignoti. È il viaggio che ci porta in paesaggi noti ma ormai tramontati, ma che attraverso gli oggetti rivediamo ancora, forse per l’ultima volta, perché questi oggetti esistono in funzione di un uso, di una vita, di un gusto. Sono prodotti di una memoria. Quando la vita finisce, loro rimangono uguali, ma solo in apparenza, perché, come fantasmi, sopravvivono in un mondo al quale non appartengono più. 

Che fare, che pensare, delle confezioni ancora chiuse di calze, per gambe troppo lunghe e troppo snelle perché possano essere usate dalla figlie? Cosa può significare la tenuta da maratona, quasi un esercizio di vanità pensando che era stata usata ancora solo quattro mesi prima che il tumore si rivelasse ormai col suo troppo tardi, troppo grave? Niente di più facile che gettare via le centinaia di foglietti da studentessa di lingue sui quali, uno ciascuno, era annotato diligentemente un vocabolo particolare – un minerale, un pesce, un’espressione dialettale – in tedesco, in olandese, in greco, in portoghese…. Ognuno di quei biglietti testimonia lo studio di anni e anni della poliglotta che sapeva interpretare in italiano da altre sei lingue – una fatica che non vorremmo nel riciclo della carta, ma che lì finisce. E i barattoli, cominciati e lasciati lì, delle creme per la pelle, il trucco per le ciglia? Manufatti che esprimono un senso di orrore, pensando che quella pelle oggi è cenere, che quegli occhi non si aprono più. Sfogliamo i libri, annotati, stropicciati, che si rivolgono a noi quasi invocando di percorrerli di nuovo, di ripetere quel viaggio in lettura che il defunto aveva compiuto anni prima. Ci ritroveremo le stesse cose? Ci aiuteranno a vivere, e a morire, nello stesso modo? 

Umberto Macchi, su Rewriters, ha scritto dei fantasmi digitali che continuano ad aggirarsi post-mortem in rete, del sopravvivere virtualmente con profili e voci e immagini. Vale anche per il potere nostalgico degli oggetti, spesso soprattutto per quelli banali, quotidiani. Perché la morte porta via la persona, ma lascia dietro, soprattutto in una società dove regna l’abbondanza, una galleria di fantasmi attraverso le cose che non seguono il defunto, ma restano tra noi, in eredità, obbligandoci a intraprendere questo viaggio tra di loro. 

Un viaggio con la macchina del tempo

Perché di viaggio si tratta, con le sue regole. Non si parte con chiunque, ma solo con chi – figli, parenti o amici cari – possa condividere lo stesso sguardo emotivo. Nel mio caso, per indifferenza della famiglia di lei e per proteggere figli ancor giovani da un esercizio pietoso, è stato un percorso solitario, come quei viaggi che hanno un senso solo se fatti da soli. Né ci si avventura tra gli oggetti rimasti in un qualsiasi momento, ma quando si è più calmi, si ha più tempo, un sabato, la sera tardi, anzi la  notte… Come in viaggio, abbiamo un programma di massima (“oggi mi dedico alle borse e a quello che ci sta dentro”), ma gli imprevisti ci distraggono portandoci verso visite inattese e misteriose, il foglietto che apre un’altra pista, la camicetta comprata sulla bancarella di un mercato orientale. 

Quegli oggetti sono una macchina del tempo, e in alcuni casi quasi una trasposizione: non erano di Paola, erano Paola. Erano, ma, per me è stato subito chiaro, non lo sono più. Tuttavia ogni viaggiatore ha la sua sensibilità, e la permanenza di qualcosa di intimo nei vestiti e in altro può richiedere per alcuni un rito rigoroso dai tempi scanditi e per altri addirittura il ricorrere a un servizio professionale (non so se esistono in Italia, ma in America esistono veri professionisti della rimozione che si occupano di ripulire gli ambienti dopo una morte). 

Vi sono alcuni film e libri che possono essere illuminanti: uno fra tutti, L’invenzione della solitudine, di Paul Auster, una toccante riflessione sulla difficoltà di restare quando qualcuno ci lascia; ma ognuno viaggia da solo, ricominciando da capo, nella terra di mezzo degli oggetti sopravvissuti tra i quali ci si avventura, un cammino intimo, che ogni volta ci sorprende. 

Proprio come in viaggio, non sappiamo mai, prima di cominciare, quali emozioni ci colpiranno questa volta, il grado di melanconia o di euforia sollecitato dall’imbattersi in una fotografia o nell’appunto di una ricetta. Un giorno potrà perfino capitare di annoiarci tra questi ricordi. Vorrà dire che il viaggiatore avrà finito la sua corsa, come è accaduto alla capacità evocativa degli oggetti. Solo a quel punto saremo veramente tornati a casa. 

ENGLISH VERSION

Travelling through post mortem objects: to be done alone, but with the help of a book or some expert

Bewildered, we cling to an inert material that testifies to those who are no longer there

Until a few years ago, in October (the eighth, to be precise), my wife’s birthday was celebrated and the gifts of the holiday were offered. Paola is no longer with us, but some of those gifts have remained, and it is as if they looked at us perplexed, questioned, without a purpose. They remain tangible, but their raison d’etre has vanished. This is the case with all the memorabilia of a dead person, a forest where we enter during and after mourning – a matter of order, unexpected discoveries, cleaning. A matter of persistence of love.

From the very first steps of this journey, we are taken away from our certainties, from our time, and we embark on an upsetting journey: the objects of people dead and dear to us, the reorganization and discovery of a life through an inert matter, which silently awaits its fate: things thrown away, reassigned to others, placed in a closet for hibernation of unknown times. It is the journey that takes us to well-known but now gone landscapes, which we see again through objects, perhaps for the last time, because these objects exist as a function of a use, of a life, of a taste. They are products of a memory. When life ends, they remain the same, but only in appearance, because, like ghosts, they survive in a world they no longer belong to.

What to do, what to think, of the still closed packs of socks, for legs that are too long and too slender to be used by the daughters? What can the marathon outfit mean, almost an exercise in vanity considering that it had been used only four months before the cancer was detected, too serious and too late? Nothing could be easier than throwing away the hundreds of language student papers where, on each of them, a difficult word was diligently noted – a mineral, a fish, a dialect – in German, Dutch, Greek, Portuguese… Each of those papers testifies the study of years and years of a polyglot who could interpret in Italian from six other languages ​​- an effort that we would not want ending in a basket for recycling paper, but that actually goes there. And the jars, started and left there, of skin creams, makeup for the eyelashes? Objects that express a sense of horror, thinking that that skin is now ashes, that those eyes will never open anymore. We leaf through the books, annotated, crumpled, which turn to us almost inviting us to go through them again, to repeat that reading journey that the deceased had made years earlier. Will we find the same things? Will they help us live, and die, the same way?

Umberto Macchi, on Rewriters, wrote of the digital ghosts that continue to circulate post-mortem on the net, to virtually surviving with social networks profiles and voices and images. This is a power shared by the nostalgic attraction of objects, often simple, everyday ones. Because death takes the person away, but leaves behind, especially in a society where abundance reigns, a gallery of ghosts through the things that do not follow the deceased but remain among us, as an inheritance, forcing us to undertake this journey among them.

A journey with the time machine

Because it is a journey, with its typical rules. We do not leave with anyone, but only with those – children, relatives, or close friends – who can share the same emotional gaze. In my case, due to the indifference of my wife’s family and also to protect our still young children from a painful exercise – it was a lonely journey, like those journeys that only make sense if done alone. Nor do you venture among the remaining objects at any time, but when you are calmer, you have more time – on a Saturday, late in the evening, or rather at night … Like traveling, we have a rough draft program (“today I dedicate myself to bags and what is inside them “), but the unexpected stuff may lead us to unforeseen and mysterious visits – the leaflet that opens up another trail, the blouse bought on the stall of an oriental market.

Those objects are a time machine and in some cases almost a transposition: they were not Paola’s, they were Paola. They were, but, it was immediately clear to me, they are no longer. However, every traveler has the sensitivity of him, and the permanence of something intimate in clothes and in other things may require for some a rigorous ritual with marked times and for others even the use of a professional service (I don’t know if available in Italy, but it does in America where there are real repression specialists who deal with cleaning up environments after a death).

We may read some books (The Invention of Solitude, by Paul Auster) and watch films on this aftermath, but each time one travels by starting from zero, in the ambiguous of surviving objects among which one ventures. Just like traveling, we never know, before starting, which emotions will strike us this time, the degree of melancholy or euphoria aroused by coming across a photograph or a recipe note. One day it may even happen to get bored among these memories. It will mean that the traveler has finally terminated his journey, as happened to the evocative capacity of objects. Only then will we truly return home.

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