Ho sempre pensato che scrivere un romanzo erotico fosse una prova difficile. L’eros è fatto di gesti conosciuti. E’ apparentemente banale. E’ un incontro di corpi e fantasie, un bisogno animale, una conferma sentimentale. La ricerca di una soddisfazione. E’ la fine e l’inizio del desiderio, un sentimento dirompente, spaventoso, vitale. Se volessi trovare un’analogia con gli elementi della natura, lo paragonerei alla pausa tra il lampo e il tuono, a quel silenzio colmo di attesa.
Ma per scriverne non basta raccontare minuziosamente un bacio tra le gambe: bisogna creare un contesto. E anche lì non è facile. Il contesto, in un romanzo erotico, non deve mai prevalere sull’eros, o si avrà solo un romanzo di narrativa con scene lussuriose. Ma a scrivere pagine e pagine di amplessi, di tentazioni, di voglie morbose, si rischia la noia, la ripetizione. Allora si va alla ricerca di situazioni estreme, utilizzando la gelosia, la violenza, le perversioni. Ma non c’è niente da fare: è difficile non cadere nel già visto, nel già sentito e soprattutto nel già fatto.
Per questo solo in pochi riescono nell’impresa. Ci vuole talento. Ci vuole uno sguardo libero dai cliché. Ci vuole l’eros nella penna. Ci vuole il sesso nella scrittura.
Quando ho letto Facciamo un gioco di Emmanuel Carrère, ho invidiato la brillantezza dell’idea sulla quale è stato costruito. Ogni frase, nel suo meraviglioso racconto dove chiede alla protagonista di masturbarsi durante un viaggio in treno, ha come intento quello di eccitare: “…ho in mente di far bagnare non soltanto te, ho in mente di far bagnare qualsiasi altra donna legga queste pagine…” E ci riesce.
Il come è bello scoprirlo pagina dopo pagina. Lasciandosi andare al gioco. Posso solo dire che Carrère non usa il sesso esplicito, mai. Quello che fa è molto di più. Ti porta a giocare con la sua scrittura. Ti rende complice. Carrère ti trasforma in un lettore attivo. Senza il giusto lettore, il suo libro non funziona.
Ecco, scrivere non è solo inventare storie, temo. Scrivere è sperimentare, osare, chiedere aiuto. Scoprire quanto con una storia scritta in un certo modo si possa smuovere il mondo interiore di chi legge.
Io ho iniziato a scrivere per sfida. Volevo dimostrare di avere qualcosa da narrare. Favole moderne, che potessero in qualche modo dire un po’di quello che vedo, o sento. Un’ambizione non priva di arroganza, quindi fallibile. Ma adesso mi chiedo: la scrittura è solo questo? O si può, attraverso le parole, creare musica? O pittura, o cinema? Quanto possono fare i lettori, con la mente, se guidati da scrittori capaci? Possono vedere, possono sentire, ballare e forse anche immaginare il dipinto più bello del mondo. Possono essere uno strumento attivo. Una parte del romanzo.
E Carrère ci è riuscito. Lui, con la sua scrittura, mi ha dimostrato che non sempre basta raccontare, per far provare delle emozioni. Alle volte bisogna chiedere aiuto a chi ci legge.
Facciamo un gioco è un racconto che diventa bellissimo solo se ha il suo compagno di giochi disposto a partecipare.
“Voglio farti una proposta. A partire da questo momento tu farai tutto quello che ti dico. Letteralmente. Passo passo. Se ti dico: smetti di leggere alla fine di questa frase e non ricominciare prima di dieci minuti, tu smetti di leggere alla fine di questa frase e non ricominci prima di dieci minuti”. Questa richiesta contiene al suo interno una dose di eros che nessuna scena di sesso è in grado, secondo me, di trasmettere.
Perché è l’attesa che crea il tormento sensuale. E lui, Emmanuel Carrère, l’ha capito benissimo.

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