L’essere umano non riesce a immaginare l’esistenza di qualcosa se non sulla base di quello che già esiste e conosce. Per esempio, riuscite a immaginare uno xenobot? Difficile, vero? Eppure esiste.
Si chiamano xenobot perché derivano dall’elaborazione di cellule staminali della rana africana Xenopus laevi, e sono considerati i primi robot viventi, assemblati senza prendere a modello l’anatomia di animali o forme rilevate in natura: vere macchine biologiche sviluppate da zero. Insomma, il futuro è già qui.

Caro Darwin, la specie si evolve ancora…
Né robot tradizionali né nuove specie animali, ma organismi viventi semi-sintetici e programmabili. No, non siamo ancora alle prese con gli scenari avveniristici e ipertecnologici che abbiamo visto in Io, robot, Transcendence o Blade runner 2049. Questi nuovi robot, infatti, non hanno ancora sembianze umane, sono lunghi meno di un millimetro e realizzati interamente con cellule staminali di rospo allo stadio di blastula.
I ricercatori hanno raccolto, sezionato e modellato le cellule staminali dagli embrioni di rana, le hanno poi separate in singole cellule e ricostruite al microscopio, secondo il progetto elaborato dal computer, che ha proposto migliaia di combinazioni possibili di xenobot attraverso l’utilizzo di cellule cardiache ed epidermiche a seconda delle funzionalità desiderate. Combinate in forme anatomiche mai osservate in natura, le cellule hanno iniziato a interagire tra loro.

Gli xenobot possono sopravvivere per settimane, se immersi in una soluzione acquosa con un’alimentazione di lipidi e proteine, possono autoripararsi dopo aver subito una lacerazione, sono completamente biodegradabili e in grado di camminare, nuotare, trasportare carichi e lavorare in gruppo.
Queste nuove creature, concepite da un team di studiosi con a capo Joshua Bongard e Michael Levin, sono state progettate sul supercomputer Deep Green del Vermont Advanced Computing Core (Università del Vermont) e poi assemblate e testate dai biologi della Tufts University. Il cluster di supercomputer Deep Green ha utilizzato un algoritmo evolutivo per creare migliaia di potenziali nuove forme di vita, e dopo varie selezioni le più promettenti sono state ulteriormente migliorate fino ad arrivare a questa ultima soluzione, poi assemblata tramite microchirurgia.

Una nuova creatura organica ha preso vita sotto lo sguardo degli scienziati, e i primi risultati di questa straordinaria ricerca sono apparsi sulla rivista accademica PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences nel gennaio del 2020.
“Il genoma delle cellule con cui abbiamo realizzato i nostri xenobot è, dal punto di vista genetico, puro DNA di rana, ma essi sono forme viventi completamente diverse dalle rane dal punto di vista anatomico”, ha dichiarato Michael Levin, direttore del Center for Regenerative and Developmental Biology della Tufts University. “Per questo è lecito chiedersi: che cosa esattamente determina l’anatomia che le cellule concorrono a realizzare? E che cos’altro sono in grado di costruire queste cellule?”

Quale sarà l’utilizzo degli xenobot?
Potranno essere utilizzati per il trasporto di medicine e sostanze nutritive in una determinata area del corpo, per localizzare tumori all’interno dell’organismo, per la rimozione di placche aterosclerotiche e perfino per cercare composti nocivi, radioattivi o contaminanti o per l’eliminazione delle microplastiche negli oceani.
Contrariamente alle tecnologie tradizionali, inoltre, gli xenobot non inquinano né durante il loro lavoro né durante la loro degradazione: essi infatti ricavano energia dal grasso e della proteine naturalmente localizzati nei loro tessuti, finiti i quali gli xenobot si trasformano semplicemente in piccoli ammassi di cellule morte. In future applicazioni mediche, gli xenobot potrebbero essere stati precedentemente realizzati con cellule del paziente stesso, in modo tale da evitare tutti i problemi di risposta immunologica scatenati invece da sistemi simili basati sull’uso di micro-robot.
“Se fossimo in grado di realizzare una forma biologica 3D su richiesta, potremmo riparare i difetti alla nascita, riprogrammare i tumori nei tessuti, rigenerare le parti del corpo danneggiate dalle lesioni o dalla patologie degenerative e addirittura abbattere l’invecchiamento, ha riferito Levin.

Ma quali sono le implicazioni etiche per la creazione di robot viventi?
L’avvento di una realtà futuristica e l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla società ha generato grandi entusiasmi nel mondo scientifico, ma altrettanti timori in quello delle scienze umane, per il rischio che le macchine possano sostituire del tutto l’uomo o essere utilizzate con fini illeciti.
Gli scienziati hanno ammesso che, se l’attuale generazione di xenobot è composta solo da cellule della pelle e del cuore, i robot viventi della futura generazione potrebbero essere composti da cellule del sistema nervoso, vasi sanguigni e perfino parti riproduttive. Queste modifiche richiederanno sicuramente una ridefinizione del nostro concetto di vita.

Quindi le macchine intelligenti saranno in grado di autodeterminarsi? Avranno una propria responsabilità e una coscienza simile alla nostra? Quello che si teorizza è che anche per l’intelligenza artificiale ci sia la prospettiva di imparare il comportamento morale, guadagnando lo status di autentiche persone artificiali, ed eliminando così il confine tra uomo e macchina. L’ipotesi, seppur con qualche perplessità, non è tanto irrealistica.
Gli esperti di etica applicata dovrebbero per questo essere coinvolti nelle fasi della creazione e dello sviluppo di queste forme di vita fondamentalmente nuove, in modo che, se saranno abbastanza avanzate da avere capacità cognitive, si possano definire le loro responsabilità e i loro diritti.

I ricercatori che lavorano sugli xenobot di prima generazione hanno riconosciuto queste preoccupazioni etiche definendole territorio inesplorato. Hanno invitato politici e grande pubblico a partecipare e discutere le future implicazioni di questa nuova generazione di robot, affinché si possano redigere politiche per regolamentarli facendo qualcosa di buono con questa incredibile tecnologia. In teoria, l’intelligenza artificiale dovrebbe essere orientata al bene dell’umanità, tuttavia bisognerebbe sempre ricordare di scongiurare ogni eventuale deriva di asservimento dell’essere umano alla macchina. Ecco perché inizia a rendersi indispensabile predisporre dei piani formativi per servirsi dell’intelligenza artificiale partendo dal presupposto dell’inviolabilità della persona umana.
Per approfondire, e orientarvi da diverse prospettive, tra i grandi dilemmi etici dell’epoca dell’intelligenza artificiale, vi consiglio due libri interessanti: Umanesimo digitale di N. Weidenfeld e J. Nida-Rümelin (2019), e Etica delle macchine di G. Tamburrini (2020).

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