Scrivo queste righe in memoria di Sarat Colling, prematuramente scomparsa il 16 maggio. La perdita di Sarat è incommensurabile. I movimenti antispecisti mondiali hanno perso una voce insostituibile, un’attivista e una studiosa di rara profondità e gentilezza.

Sarat Colling con Xena.

Ho conosciuto Sarat nel 2016. Io e feminoska eravamo allora impegnatə nel collettivo Resistenza Animale, che da qualche tempo aveva dato vita a quello che oggi è un immenso archivio degli atti di ribellione dei non umani. Oltre a documentare le fughe da allevamenti, zoo e circhi, insieme alle mille forme di resistenza che quotidianamente il mondo animale mette in atto nel pressoché totale silenzio di una cultura specista, il blog era lo snodo di una serie di attività, dallo sviluppo di azioni di solidarietà concreta agli animali ribelli alla ricerca e alla riflessione più “teorica”.

Per questo, era nostra intenzione portare in Italia qualcosa del nascente dibattito, perlopiù anglofono, sulla resistenza animale. Non esistevano, infatti, testi tradotti sul tema, salvo qualche sporadico articolo e un’emergente produzione nostrana decisamente seminale. Indagavamo questo argomento con un’ottica intersezionale, coscienti almeno in parte che gli strumenti di analisi del transfemminismo e della critica decoloniale fossero preziosi per “leggere” questo fenomeno che finalmente veniva osservato con attenzione, nel tentativo di abbandonare per quanto possibile uno sguardo antropocentrico.

Ci colpì subito, del lavoro di Sarat, il metodo

E ci imbattemmo in una tesi di laurea che esaminava le fughe di animali da allevamento in un contesto urbanizzato, quello dello Stato di New York. Ci colpì subito, del lavoro di Sarat, il metodo. La sua riflessione si inseriva nel dibattito che iniziava a svilupparsi nel nord America, ma vi innestava lo sguardo del femminismo decoloniale, fin dal titolo, Animals without Borders, un détournement del celebre saggio di Chandra Talpade Mohanty (Feminism without Borders). E Mohanty, con altre autrici come Sara Ahmed, era esplicitamente il punto di riferimento che permetteva a Colling di interpretare la resistenza animale come resistenza non riconosciuta, al centro di un gioco pericoloso che oscilla fra sovradeterminazione, invisibilizzazione, esotizzazione e feticismo.

Animali in rivolta

Copertina di "Animali in rivolta".

Ne venne fuori, grazie alla traduzione di feminoska, Animali in rivolta. Confini, resistenza e solidarietà umana (Mimesis, 2017), il primo libro in italiano sulla resistenza animale, motivo di orgoglio anche perché non fu mai pubblicato negli Stati Uniti. Un testo potente, a distanza di anni letto e discusso nel movimento antispecista e non solo.

Un testo che fece riflettere prima di tutto noi due che ne curammo l’edizione italiana, mettendo alla prova i nostri automatismi di attivistə ancora un po’ convinte, in fondo, che i non umani non possiedono una “voce”, una loro agentività, una loro capacità di agire politicamente per cambiare la propria vita e combattere le ingiustizie. Sarat ci mostrava come fosse possibile raccontare le evasioni dai mattatoi dal punto di vista degli individui oppressi e non degli oppressori, senza romanticizzarle ma senza minimizzare il desiderio di libertà e di una vita degna di essere vissuta. Ci forniva un esempio autenticamente femminista di contronarrazione contestuale, situata, ma al tempo stesso in grado di sollevare questioni etiche e politiche di ampio respiro, a partire dalla questione annosa del “parlare per altrə”.

Sarat scrisse altri testi fondamentali, a partire da Animal Resistance in the Global Capitalist Era fino al libro illustrato Chikpea Runs Away, e numerosi articoli e storie. In italiano, è stato poi tradotto un suo saggio breve sulla rivista antispecista Liberazioni, Quando le orche parlano (ascolta attentamente). L’anno scorso Sarat Colling ha contribuito alla raccolta di racconti Zanne curata da Francesco Cortonesi e Susanna Panini.

Copertina di "Animal Resistance in the Global Capitalist Era"

Cura e delicatezza

Da quando entrammo in contatto per la traduzione della sua tesi di laurea, iniziammo a sentirci per scambiarci opinioni, notizie di animali ribelli cui la stampa non aveva dato il giusto peso o che sollecitavano riflessioni interessanti sulla resistenza animale. Ricordo che Sarat passò un periodo a condurre ricerche sulle illustrazioni della Domenica del Corriere che – forse sorprendentemente – contenevano numerose rappresentazioni di ribellioni animali come quella che poi diventò la copertina del suo libro.

Sarat era anche un’attivista, e questo traspariva nella sua produzione teorica, mai fine a sé stessa, sempre tesa a a capire la resistenza animale e a spronarci a mettere in pratica una vicinanza, un sostegno attivo ma non paternalistico: una solidarietà senza pietismi ma costantemente animata dalla tensione verso la liberazione animale.

Sarat attraversava il mondo con cura e delicatezza, quella cura e delicatezza che trasparivano dalle immagini del luogo in cui abitava, l’isola di Hornby in Canada, in armonia con le altre creature del luogo, animali e vegetali. Si vedeva anche dalle idee, per esempio dalla centralità dei santuari per animali salvati nei suoi scritti.

Ricordo che, a settembre 2023, mi aveva chiesto aggiornamenti sulla vicenda di Cuori Liberi, quando presidiavamo giorno e notte il santuario per evitare l’irruzione delle forze dell’ordine. La sua presenza, a migliaia di chilometri, si sentiva forte. Ricordo anche che seguiva l’evolversi della campagna Stop Casteller, interpellandomi sulle implicazioni non immediatamente comprensibili dall’estero. E, del resto, si trattava di una lotta nata da un atto di ribellione animale, le testarde evasioni di M49, orso “pericoloso” per i politici trentini.

Proseguire queste battaglie, dare vita ad altre mobilitazioni, schierarsi sempre con la resistenza animale: è così che ti ricorderemo.

Ci mancherai, Sarat.

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