I diritti sociali sono stati abbandonati a favore di quelli civili. 
Quante volte abbiamo ascoltato questa lamentela levarsi da intellettuali convinti  di aver trovato la chiave che spiega i ripetuti fallimenti di una certa parte politica, la sinistra,  che, non sa più parlare al suo popolo? 
E se invece il problema fosse che i diritti civili sono percepiti come di un gruppo ristretto di persone e non come conquiste di tutta la società? E se fosse che questa narrazione abbia danneggiato il discorso progressista  allontanando i simpatizzanti, biasimando gli attivisti e demonizzando i movimenti?

Che poi, chi dice che i diritti sociali sono più importanti di quelli civili, dimentica che entrambi possono essere tutelati nello stesso modo: non sono esclusivi tra loro, né gli uni la conseguenza degli altri.  
Per esempio, quando una donna viene pagata meno rispetto ad un uomo, mi sta parlando di un problema sociale, lo stipendio e la possibilità di essere libera ed indipendente economicamente, o di un problema civile, il sessismo connaturato nella nostra società, oppure di entrambe? 
Quando un bracciante senza documenti è pagato 30 euro al giorno per lavorare nei campi di 14 ore al giorno, sta subendo la lesione di un diritto sociale – un salario minimo garantito e condizioni di lavoro dignitose – oppure la ferita di un diritto civile: quello dell’eguaglianza formale e sostanziale? 
Ancora una volta, io direi entrambe le cose. E peraltro, gli esempi, di questa compenetrazione fra diritti civili e diritti sociali sarebbe moltissimi. 
Ecco perché è l’ora di lasciarsi alle spalle ogni contrapposizione nella battaglia per i diritti sociali e civili. 

Fare avanzare i diritti, tutti, significa infatti migliorare le condizioni di vita soprattutto delle persone più vulnerabili; quelle che facendo parte di un contesto sociale, economico e culturale più svantaggiato, subiscono ancora di più discriminazioni. Significa, in sostanza, riconoscere che la piena realizzazione della vita non si esaurisce nella condizione materiale, pur fondamentale, e abbraccia inscindibilmente anche il pieno riconoscimento delle nostre personalità e in questo anche il pieno riconoscimento della nostra vita privata. 

Facciamo l’esempio delle Famiglie arcobaleno, il legislatore, ha il dovere di prenderne atto e intervenire in un’ottica di solidarietà collettiva per disciplinare una realtà che già esiste. La domanda da farsi è esattamente questa: quanto impatta anche nella vita materiale di una famiglia arcobaleno il non essere formalmente riconosciuta? La risposta è che aumenta il rischio di essere più soggetta a discriminazioni. E ancora, quanto impatta sui diritti sociali l’assenza in capo ad alcune persone di un pieno portato di diritti civili?

In Italia decine di migliaia di persone trans sono ancora costrette alla disoccupazione più nera o alla scelta della prostituzione perché il loro diritto civile di cambiare documenti anagrafici in tempi celeri e certi non è ancora pienamente riconosciuto. Per questo le battaglie o sono comuni, rivendicazioni a voci comuni, o sono destinate a restare impotenti e troppe volte inascoltate.

Come dice Angela Davis, “la libertà è una lotta costante” da condurre saldando insieme la molteplicità delle singole proteste e delle singole rivendicazioni di libertà perché, “se l’intersezionalità delle battaglie contro il razzismo, l’omofobia e la transfobia viene sminuita, non conseguiremo mai vittorie significative nella lotta che combattiamo per la giustizia”.  

In questi giorni abbiamo un’occasione perfetta per concretizzare questo concetto di lotta trasversale che ci deve vedere in campo anche se la questione non ci riguarda direttamente, ed è la battaglia che riguarda l’imminente, si spera dopo 24 anni, approvazione della legge contro l’omo-lesbo-bi-transfobia che non riguarda solo noi persone lgbtqi+ ma l’intera cultura giuridica e solidale di un paese. 
Riguarda genitori e nonni preoccupati per l’incolumità dei loro figli e nipoti. Riguarda il senso di sicurezza per milioni di persone che ancora oggi hanno paura di camminare per strada tenendo per mano un partner del loro stesso sesso.

Perché se è vero che una legge da sola non fa cultura, è però altrettanto vero che l’odio e il disprezzo non possono avere posto in una società che si vuole civile e giusta e che comportamenti motivati da odio nei confronti di minoranze devono essere sanzionati in modo che la legge funga da deterrenza. 
Ma il punto rimane sempre quello: ora, in questo preciso istante, la mobilitazione deve riguardare tutti, anche le persone non LGBTQI+ in un patto per un nuovo New Rights Deal.

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