Lo sguardo di Alessandro Ajres su 30 anni di divieto di aborto in Polonia
Dal post-URSS allo Strajk Kobiet dei giorni nostri: il libro di Ajres colloca le proteste contro il divieto d'aborto in Polonia in un'ottica internazionale.
Dal post-URSS allo Strajk Kobiet dei giorni nostri: il libro di Ajres colloca le proteste contro il divieto d'aborto in Polonia in un'ottica internazionale.
Sono passati 30 anni da quando in Polonia è stato introdotto il divieto di aborto. Il 7 gennaio 1993, il Sejm approvò un atto radicale che introdusse un divieto quasi totale dell’aborto nel Paese. Nella stessa riunione fu respinta una mozione, firmata da oltre 1,5 milioni di cittadini, in cui il popolo polacco chiedeva un referendum sull’aborto. I sondaggi mostrarono chiaramente che la maggioranza delle e dei polacch* era contraria al divieto di aborto.
ll drastico calo di aborti negli ultimi tempi è anche il risultato di una sentenza emessa dalla corte costituzionale polacca nell’ottobre 2020 ed entrata in vigore il 27 gennaio 2021. La corte, ampiamente considerata come sotto l’influenza del partito conservatore al governo, ha rilevato che l’interruzione di una gravidanza a causa della diagnosi di un difetto congenito “viola il diritto costituzionalmente tutelato alla vita”.
Sono passati più di due anni da quando l’aborto è stato reso illegale in Polonia in caso di gravi malformazioni fetali, portando a un divieto virtuale di interruzione volontaria della gravidanza (aborto) nel Paese.
Il 27 gennaio 2021 è entrata in vigore la sentenza della Corte costituzionale, che aveva provocato proteste mostruose in tutto il Paese nell’autunno del 2020, costringendo il 90% degli aborti precedentemente eseguiti legalmente a diventare clandestini.
Di fronte al fatto compiuto – e all’impossibilità di legalizzare l’aborto da parte degli ultraconservatori al potere dal 2015 a Varsavia – le proteste di piazza sono scemate. Ma le organizzazioni che facilitano l’accesso all’aborto nel Paese, così come fuori dai suoi confini, sono più che mai interpellate.
Nei due anni successivi sono morte almeno tre donne che avrebbero dovuto sottoporsi a un aborto terapeutico. È la cifra fornita da Kamila Ferenc, vicedirettore della Fondazione polacca per le donne e la pianificazione familiare (FEDERA). La causa era spesso lo shock settico. Come per Izabela, mamma di 30 anni morta nel settembre 2021 in un ospedale del sud del Paese. Il personale medico si era rifiutato di intervenire finchè il cuore del feto batteva ancora.
Durante manifestazioni intermittenti in tutto il Paese, dalla sentenza del tribunale del 22 ottobre 2020 al 2021, quando la sentenza è entrata in vigore, la polizia ha disperso i manifestanti con manganelli, spray al peperoncino e gas lacrimogeni.
Le autorità governative hanno affermato che le/i manifestant* stavano sfidando un divieto di assembramento legato alla pandemia, sebbene la polizia li abbia respinti in aree isolate per ore, il che ha solo aumentato il rischio di diffusione del COVID-19.
Attivist*, manifestant* e avvocat* hanno ribattuto che le autorità stavano prendendo di mira i critici del governo, guidato dal Partito Legge e Giustizia dal 2015. Da quando è salito al potere, il governo ha anche frenato l’educazione sessuale, denunciato i diritti LGBT+ e attaccato le attiviste per i diritti delle donne, erodendo di fatto lo stato di diritto.
Tra le persone accusate – un reato punibile con 8 anni di carcere – c’è Marta Lempart, co-fondatrice del gruppo di protesta Sciopero delle donne in tutta la Polonia (Ogólnopolski Strajk Kobiet). Un giudice ha archiviato il caso contro Lempart per motivi tecnici, ma i pubblici ministeri l’hanno ripristinato a settembre. È uno degli 80 casi pendenti contro Lempart, non solo per il suo coinvolgimento nelle proteste a favore dell’aborto, ma anche per quelle a favore della democrazia.
La connazionale Kasia Smutniak, personalità di spicco nel cinema e attivista per i diritti delle donne e dei migranti, ha voluto far sentire tutto il proprio sdegno per la sentenza del 2020 in Polonia attraverso un post di denuncia molto pesante su Instagram.
La sentenza anti-aborto è stata emessa dalla Corte costituzionale politicamente compromessa del Paese, che ha dichiarato incostituzionale l’aborto dovuto a “difetti fetali gravi e irreversibili o malattie incurabili che minacciano la vita del feto”. Il tribunale ha approvato il ritiro dell’aborto dopo che il ramo esecutivo non era riuscito a farlo passare in parlamento.
Così la decisione del tribunale ha eliminato uno dei pochissimi motivi legali rimasti per l’aborto in Polonia. Ora, sebbene due terzi dei polacchi sostenga il diritto all’aborto, la legge vieta la procedura a meno che la gravidanza non minacci la vita o la salute della donna incinta, o sia il risultato di stupro o incesto.
Molt* professionist* medici si rifiutano di praticare aborti, anche per motivi di obiezione di coscienza – in alcuni casi, quando la vita di una donna è stata a rischio.
Nell’ultimo mese, a una ragazza disabile di 14 anni rimasta incinta a causa di uno stupro è stato rifiutato l’aborto dagli ospedali della sua provincia, costringendola a viaggiare attraverso il Paese fino alla capitale, Varsavia, per ottenere l’aborto.
Associazioni come Aborcyjny Dream Team aiuta le donne polacche nell’andare in Paesi come Olanda, Belgio e Cechia che forniscono assistenza e piena applicazione nel garantire l’aborto a chi ne ha bisogno con i viaggi e con la pillola.
A causa dei rischi dovuti a questa legge misogina, l’11 gennaio si è svolta la quarta udienza presso il tribunale distrettuale del distretto Praga di Varsavia in cui Justyna Wydrzyńska, fondatrice dell’associazione, è accusata di aver assistito ad un aborto.
Questo è il primo caso del genere in Polonia in cui una attivista è accusata di aver favorito un aborto, e non un membro della famiglia, un parente o un medico. Wydrzynska è sostenuta da molti circoli e istituzioni in Polonia e all’estero. Una lettera in sua difesa è stata scritta da quattro relatori speciali delle Nazioni Unite sui diritti umani e un membro di Renew Europe, un partito del Parlamento europeo.
A ragionare su questa ondata di spinte reazionarie che dalla Polonia si espandono in tutta Europa è Alessandro Ajres, traduttore e polonista dell’Università degli Studi di Torino, con il suo libro Aborto senza frontiere, il movimento polacco e i suoi modelli (edizioni Rosenberg & Sellier) una profonda analisi semiotica dei gruppi in lotta contro il divieto di aborto e del loro linguaggio, un’analisi capace di inquadrarli in una dimensione internazionale.