Il mio viaggio attraverso i pensieri, e soprattutto le anime, degli operatori e delle operatrici culturali di Milano, in questa intervista passa dal Teatro Fontana diretto da Rossella Lepore.
Conosco da diversi anni Rossella Lepore, ed è sempre accogliente e gentile; tutte le volte che ci ritroviamo non parliamo molto, ma ci guardiamo tanto negli occhi: ha due occhi scuri e profondi, un po’ enigmatici ma benevoli, che a guardarli si intuisce la sua passione per la vita.

Cosa significa per una comunità non poter avere un servizio pubblico come il teatro?
Cerco di risponderti sinceramente facendo prima di tutto a me stessa la domanda che mi sono fatta più volte in questi 13 mesi di chiusura: è veramente così necessario il teatro? È un bene così essenziale come viene sbandierato a fini non sempre chiaramente leggibili? Non riesco a dare per scontata questa faccenda della necessità del teatro, soprattutto in questo momento in cui le necessità sono altre e urlano davvero forte. Ed è difficile parlare anche di comunità che accede al servizio teatro. Come dice Baliani in una recente intervista, da tempo non esiste più una comunità ma “comunità provvisorie” che “appena cala il sipario si disperdono”. E a teatri chiusi, al riparo e al chiuso dei nostri salotti, tutti abbiamo sperimentato la sfolgorante concorrenza dei linguaggi altri e abbiamo pensato che avremmo guardato le serie Netflix per tutta la vita. E già prima della crisi pandemica la crisi dell’affluenza di pubblico a teatro era sotto i nostri occhi, fatte salve alcune isole felici e fatti salvi alcuni momenti meravigliosi, grazie a meravigliosi spettacoli che mi hanno fatto pensare che tutti ma proprio tutti avrebbero dovuto vederli. Necessari quindi? forse sì. Il tema quindi è che spettacolo siamo? E che battaglia dobbiamo intraprendere per tornare degni di essere salvati e non solo un simbolo sbiadito da tirar fuori all’occorrenza per sentirci dire che siamo importanti senza sapere neanche noi perchè. La domanda è se saremo capaci di intercettare le grandi questioni che agitano il nostro tempo e soprattutto come sapremo tradurle in segno e linguaggio, dato che la nostra funzione primaria è quella di stare a mollo nel processo creativo. Il tema della forma per noi sarà cruciale e credo che l’impeto con cui lo affronteremo determinerà la nostra sopravvivenza e il nostro essere autentico servizio costruttore di comunicazione e quindi di comunità. In alternativa rimarranno le scorie di una attività destinata a diventare residuale, al massimo decorativa e consolatoria per pochi estimatori.

Cosa manca in Italia affichè la Cultura venga considerata un bene primario di ogni cittadino/a?
Mi sembra che il contesto generale in cui viviamo sia un contesto a cui l’arte di fatto non interessa, a meno che non abbia un connotato di grande evento in grado di attirare le folle oceaniche, quindi arte al chilo… Un bene primario risponde a un bisogno, ma ho la sensazione che non si focalizzi granchè il bisogno, casomai il gusto, e il gusto del momento, una certa sensibilità comune che bisogna assecondare, rispettandone il decalogo di valori o regole che con l’arte non hanno niente a che fare.

Come sta rispondendo a questa assenza di teatro, Rossella Lepore la direttrice artistica del Teatro Fontana?
In questa assenza il teatro è diventato un puntino piccolo piccolo sempre più lontano, salvo riavvicinarsi prepotentemente grazie alle voci degli artisti con i quali anche durante la chiusura il colloquio è continuato e che nel nostro spazio hanno continuato a produrre sia per l’on line, come è stato per il MacBeth di Michele Sinisi (storia teatrale di trasformazione spaziale), per Very shorts di Marco Lorenzi e per la sessione di prove de La grande abbuffata, che mi ha definitivamente ricentrata sulla passione per il mestiere, passione che non bussa alla porta tutti i giorni ma che va coltivata, riconquistata e messa in condizione di generare non solo emozioni ma visioni, soluzioni e aperture al futuro.

Rossella la madre, invece, come sta reagendendo a questa chiusura?
Sono una nonna…la madre è rimasta nel passato.

Cosa vorresti lasciare ai tuoi figli per il loro futuro?
Alle mie figlie lascio il loro corpo, sperando che ne facciano buon uso, e la loro anima, che secondo me è bellissima e mi auguro che se ne facciano guidare.

Cosa vorresti vedere a teatro quando riapriremo i teatri?
Mi piacerebbe sentire aria di rifondazione, accompagnata da scelte radicali, quelle necessarie dopo una crisi radicale. Temo la riproposizione di copie del passato, il ritorno del sempre uguale e la scontatezza di linguaggi che non permettono il contatto e la relazione autentica con il pubblico. Mi piacerebbe incontrare un genio visionario che mi faccia saltare sulla poltroncine rossa e mi faccia stare a teatro come al luna park.

Cosa significa per Rossella Lepore lottare per il bene comune?
Riportando a terra la nozione di bene comune provo a interpretarlo dal punto di vista della pratica della programmazione teatrale.Per me vuol dire cercare di mantenere uno sguardo plurale, mettere il naso anche in cose che a pelle non condivido, mettere in condizione le persone che scelgono il nostro spazio di percepirlo come uno spazio di libertà.

Questo tempo di chiusura ci ha fatto capire che del teatro se ne può fare a meno! Quanto è vera questa affermazione?
Penso di avere già risposto, in sintesi si può fare a meno del teatro conformista, ripetitivo, letterario, il teatro brevettato che dimentica la sua natura eversiva, creatore di immaginario grazie ad una straordinaria grammatica che è solo sua.

Il domani è sempre un’incognita

Chi dovrebbero essere le persone che gestiranno i teatri di domani?
Non so cosa sarà il teatro di domani, il domani è sempre una ics, e il teatro in quanto rito non è una formula estetica statica. Non so come saranno gli uomini e le donne di domani, comunque saranno sarebbe bello che, a fronte di un’attività complessa come la gestione di un teatro, non ripiegassero su gestioni personalistiche e non si chiudessero in una bolla autoreferenziale.

Per puntare sui/sulle giovani artisti/e, ci vuole più amore o più coraggio?
Si comincia sempre da un innamoramento e il coraggio viene dopo… e se non ce l’hai non te lo puoi dare, l’ha detto qualcuno,vero?

Quando hai abbracciato l’ultima volta i tuoi genitori?
E’ difficile anzi impossibile, in tempo di pandemia, abbracciare una madre con alzheimer in RSA. Le stanze degli abbracci sono una balla stratosferica.

Per fare il lavoro che hai fatto in questi anni, hai avuto bisogno di più amore o di coraggio?
Ho avuto bisogno di un po’ di incoscienza e di tanto lavoro per trasformare l’incoscienza in coscienza. Ti posso dire che il lavoro di questi anni è stato uno straordinario corso di aggiornamento permanente, tra successi, insuccessi e incontri sorprendenti… una vera commedia umana.

Condividi: