Sarà stato il frequentare il Berggruen Institute e l’Università di Berkeley, chissà, sta di fatto che la ragazza ha una consapevolezza tecnologica non banale che, unita al talento artistico e a una sorta di black pride, rende il suo lavoro un’esperienza emotiva stralunare ed esotica, qualsiasi cultura e latitudine sia il punto di vista. E questa installazione, Neural Swamp, ci catapulta in uno stato sussultorio come se fossimo davanti all’alieno prossimo venturo.

Inaugura il 14 settembre alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, dove resterà fino al 30 gennaio 2022, prima di essere presentata al Philadelphia Museum of Art, dove aprirà a primavera prossima. Ciò che si vedrà è pura arte performativa, decisamente immersiva, costruita con un ausilio non secondario dell’intelligenza artificiale che, anzi, diventa in qualche modo protagonista e soggetto d’arte. Ecco che scienza, arte, attivismo e tecnologia si fondono e creano un’opera talmente espressiva da venire scelta per la seconda edizione della Future Fields Commission in Time-Based Media, conferita all’artista congiuntamente dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e dal Philadelphia Museum of Art.

Le curatrici, Irene Calderoni e Amanda Sroka, hanno visto lungo, dato che Martine Syms lavora con registri importanti della contemporaneità che già di per sè hanno molto da dire: film, performance, installazione, produzioni editoriali, e molto altro, sempre e tutto al confine tra linguaggi espressivi che, di fatto, Syms riesce a mettere in dialogo con robusta originalità.

Cosa c’è nelle opere di Martine Syms

Le sue opere esplorano anche le rappresentazioni del corpo nero femminile nello spazio digitale, mostrando come i sistemi tecnologici li cancellino o li rendano invisibili, ammutolendo le voci, le narrazioni. Internet e social media, quindi, perlustrati, navigati, penetrati dall’artista per una denuncia intelligente, che si compie da sola. Attraverso l’oscillazione continua tra immagine fissa e in movimento, cinematica e statica, monologhi e ensemble, i suoi lavori svelano i retroscena della costruzione di identità fake, dove il fake non è qualcosa che non esiste ma la perversione della realtà: una manipolazione, una distorsione, una illusione.

Neural Swamp racconta di Athena, ex campionessa di golf, tra immagini che si proiettano e rimbalzano sulla superficie espositiva e voci che invadono l’aria: tre schermi si litigano due attrici afroamericane che recitano parte di una sceneggiatura che l’artista aveva scritto per un film e che, a partire da questa opera, diventerà un altro lungometraggio, in un processo poetico poli-generativo. C’è però un segreto: le attrici leggono un copione, d’accordo, ma sia la sceneggiatura sia le loro voci sono date in pasto a un’intelligenza artificiale che in tempo reale genera nuove letture. Le voci stesse sono quindi prodotte da una seconda intelligenza artificiale, con il suono artificiale che tenta di mimare quello naturale provocando però un diaframma, invece che empatia:

Le voci delle protagoniste sono prodotte da una intelligenza artificiale – spiegano le curatrici – che l’artista ha sviluppato e addestrato sulla base della propria voce e di quelle di due attrici. Il modello di generazione di testo produce le parole e la sceneggiatura in progress che le attrici interpretano attraverso queste voci artificiali. I personaggi interagiscono, ma le loro voci definiscono più una distanza che una relazione“.

Attrezzature per allenamenti ginnici fanno da supporto ai dispositivi video, mentre l’ambientazione ricorda un campo da golf o una tenso-struttura sportiva. Un’esperienza tra realtà e cybernetica costata alla giovane Martine Syms ben due anni di lavoro ma che, grazie al budget non indifferente messo a disposizione dai committenti, riesce a aprire una pagina non banale di riflessione su questioni urgenti, non solo per le citazioni postfemministe e antirazziste, ma soprattutto per il tema immenso della bioetica.

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