Continuano le mie interviste agli operatori e alle operatrici culturali della città di Milano, città del Teatro italiano. Ai lettori e alle lettrici consegno le parole e i pensieri di Valeria Cavalli, che oltre ad essere una regista e drammaturga è anche la direttrice artistica (insieme ad Antonio Syxty e Gaetano Callegari) di MTM, Manifatture Teatrali Milanesi.

Quando abitavo vicino all’Esselunga di viale Zara, a Milano, alcune volte lungo il marciapede che porta al supermercato incontravo Valeria, e quando accadeva erano sempre dei bei sorrisi e discorsi di film visti, spettacoli da andare a vedere e piante grasse da curare; erano momenti di una serena quotidianità che mi facevano sentire in un grande paese e non in una città.

Immagino che se io abitassi ancora in quel quartiere, tra una spesa e l’altra, magari sedendoci a bere un cappuccino al tabacchino che fa angolo con via Budua, chiederei alla direttrice Valeria…

Cosa significa per una comunità non poter avere un servizio pubblico come il teatro? Paolo Grassi, molti anni fa, si auspicava che il Teatro potesse essere “una necessità collettiva alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco”. Aveva ragione. Sai, quando c’è stato il primo lockdown, in quasi tutti i frigoriferi è apparso il lievito madre che è un impasto fermentato grazie al quale il pane acquista fragranza e morbidezza. E il lievito madre va rinfrescato in modo che mantenga la sua funzione di “attivatore”. Ecco, per me il Teatro ha quella funzione.

Cosa manca in Italia affinchè la cultura venga considerata un bene primario di ogni cittadino/a?
Manca la coltura della cultura. E per coltura intendo l’attenzione alla crescita, all’allevamento delle istanze artistiche che ci sono eccome. Manca un ministro che ami l’arte e che per primo affermi la sua importanza. Manca una politica culturale che avvicini i cittadini e tolga un po’ di “polvere” dalla parola stessa che per molti è ancora sinonimo di fumosi ghirigori intellettuali.

Come sta rispondendo a questa assenza di teatro, Valeria la direttrice artistica del MTM?
Beh, intanto quest’assenza di teatro la vivo in compagnia, perché MTM ha deciso di non avere un Direttore Artistico ma un tavolo al quale si siedono dei responsabili artistici coordinati da Antonio Syxty. E questa condivisione aiuta non poco. Tieni presente che poi a questo tavolo spesso si aggiungono anche la presidente di MTM Gaia Calimani e altri soci che si occupano di organizzazione, di amministrazione. Insomma ci muoviamo tutti insieme alla ricerca di soluzioni che ci aiutino a superare questo lungo momento di sospensione. MTM poi non ha solo tre teatri da gestire ma anche due scuole, la Scuola Grock e i Corsi Litta, che vivono con difficoltà questo momento nel quale in realtà di teatro, di arte, di bellezza ci sarebbe molto bisogno per scongiurare una chiusura ben più pericolosa: quella della mente.  

Valeria la drammaturga, invece, come sta reagendo a questa chiusura?
A me piace scrivere quindi, comunque sia, io mi piazzo davanti al pc e vado di tasto! Però ti dico la verità:  il primo lockdown l’ho vissuto con curiosità, quasi come si trattasse di un esperimento sociale, c’era qualcosa di romantico nel vedere Milano così silenziosa che assisteva a un’incredibile esplosione primaverile e poi c’era la speranza che tutto finisse. Poi però sono arrivate le aperture, le chiusure, le zone colorate, i coprifuoco, i banchi con le rotelle, tutta una nomenclatura, a me odiosa, che ormai fa parte del nostro vocabolario quotidiano (leggi assembramento), un dedalo di regole e regoline che spesso poi erano contradditorie, le news e le fake news, i virologi che litigano fra di loro. Ho spesso avuto la sensazione che stia regnando una gran confusione. E io che non sono una paladina del farmaco come panacea, ti dirò che aspetto il vaccino per me e per tutti.

Cosa vorresti lasciare ai tuoi figli per il loro futuro?
Ho una risposta davvero scontata da darti: vorrei lasciar loro la libertà e la felicità. Il che non è affatto scontato.

Cosa vorresti vedere a teatro quando riapriremo i teatri?
Ahia, Tindaro, che domanda! Davvero non lo so. Non so nemmeno con che spirito riprenderemo noi tutti. Ti posso solo dire cosa non vorrei vedere: degli spettacoli che parlino del lockdown. Lo troverei pornografico.

Quand’è l’ultima volta che ti sei commossa?
Non ridere ti prego! Mi sono molto commossa vedendo un documentario che si intitola “My Octopus Teacher” ( Il mio amico in fondo al mare) che racconta l’amicizia fra un polpo femmina e un uomo. L’ho trovato di una tenerezza struggente. Ti consiglio di guardarlo.

Cosa significa per te lottare per il bene comune?
Sarebbe bello non dover lottare per avere ciò che ogni uomo dovrebbe avere ovvero pari dignità, rispetto, opportunità e occasioni. Trovo odioso il pensiero di doversi difendere dalle ingiustizie, dai soprusi. Ma non è così e lo sappiamo benissimo. Ti rispondo allora con una frase di Bauman che dice più o meno che le persone e le società possono essere cattive ma la comunità no, la comunità è sempre una cosa buona. E quindi credo che valga la pena di lottare per tenere coesa la comunità.

Questo tempo di chiusura ci ha fatto capire che del teatro se ne può fare a meno! Quanto è vera questa affermazione?
Certo che se ne può fare a meno. Si può fare a meno di tante cose tranne che dell’acqua e del cibo. Ma quella si chiama sopravvivenza e non vita. Comunque caro Tindaro, c’è gente che anche in periodi pre-covid ha vissuto senza mai mettere piede in un teatro, senza mai andare al cinema, senza leggere un libro e senza andare in un museo. E presumo anche senza farsi mezza domanda, senza avere nessuna curiosità.

Quand’è che hai sorriso l’ultima volta?
Stamattina. E ti dirò che io non solo sorrido molto spesso, io rido parecchio. Non riesco a non vedere sempre il lato ironico delle cose. Meno male!

Chi dovrebbero essere le persone che gestiranno i teatri di domani?
Persone competenti e soprattutto svincolate da legami politici. Vorrei vedere più donne per il semplice fatto che siamo istintivamente delle “incubatrici”, delle creatrici di comunità. Se ci pensi noi insegniamo a camminare per vedere i nostri figli andare, lo stesso vale per i progetti e le idee. Ah, vorrei anche vedere qualche faccia meno rugosa.  

Per puntare sui giovani artisti, ci vuole più amore o più coraggio?
Non si dice “Omnia vincit amor”? Quindi l’amore ha bisogno del coraggio, se no muore.

Per fare il lavoro che hai fatto in questi anni, hai avuto bisogno di più amore o di coraggio?
Beh, l’amore per me va in coppia con il coraggio. Ho però avuto la grande fortuna di avere sempre dei fantastici compagni di viaggio dispensatori di amore e coraggio quando magari veniva un po’ meno. E li ringrazio!

Quando hai abbracciato l’ultima volta i tuoi genitori?
Purtroppo tanti anni fa perché sono mancati. Però mi piace pensare che essendo stati entrambi due medici, in questa pandemia avrebbero dato di sicuro il loro contributo umano e professionale.

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