Io, Ambra e la grassofobia degli anni ’90
La società degli anni '90 è stata quella che prima fra tutte ha spinto la grassofobia. Ambra Angiolini lo racconta nel libro "InFame".
La società degli anni '90 è stata quella che prima fra tutte ha spinto la grassofobia. Ambra Angiolini lo racconta nel libro "InFame".
Sono stata una ragazza degli anni ’90 e oggi sono madre. Sono cresciuta in una società in cui la grassofobia era così potente e pervasiva che non esisteva una parola per descriverla: faceva semplicemente parte del modo di leggere il mondo.
Gli amichetti che non erano magri erano ciccioni e venivano perennemente messi all’angolo, sbeffeggiati, presi in giro, umiliati.
Sul grasso esistevano migliaia di barzellette e i disturbi alimentari erano solo e unicamente l’anoressia con grave sottopeso, tutto il resto erano golosità, pigrizia e capricci.
Le riviste di gossip erano piene zeppe di foto paparazzate di dive del cinema e della tv in cui venivano messi in evidenza o il corpo perfetto oppure i buchi della cellulite. Nel frattempo, venivano pubblicati libri su libri delle diete più assurde: da quelle che toglievano i carboidrati a quelle a base di sola ananas.
Noi ragazze degli anni ’90 siamo state le prime a doverci confrontare con un ideale di bellezza irreale e irrealistico, quello delle modelle in grave sottopeso del trend heroin-chic. Siamo cresciute nella convinzione che nothing tastes as good as skinny feels e che non si è mai abbastanza ricche o abbastanza magre.
Nel frattempo, la società è cambiata e la sensibilità sui corpi pure. Faticosamente, bisogna dirlo, lottando contro un fronte grassofobico compatto che ancora identifica il peso come unico indicatore visibile di salute, ma un cambiamento c’è stato.
La body positivity e il movimento Health at Every Size hanno fatto la loro comparsa e, soprattutto grazie ai social media, sono sempre di più le attiviste grasse che chiedono e ricevono spazio.
Pensare però che tutto questo possa cancellare con un colpo di spugna i condizionamenti che abbiamo subito per anni e che di fatto hanno plasmato la nostra personalità e la nostra sensibilità alla magrezza, sarebbe quantomeno ingenuo.
Una gran parte di quelle ragazze di ieri non ha preso parte al cambiamento di oggi e, per quanto non si azzardi più a dire cicciona, non ha smesso di pensarlo. Quelle ragazze sono diventate madri, madri perennemente a dieta, madri che commentano con orrore mezzo centimetro in più sulle cosce, madri che – spesso senza rendersene conto – maltrattano il loro corpo anche davanti a figli e figlie.
Non è così raro oggi trovare bambine anche molto piccole, di sei o sette anni, che chiedono la Coca Zero alle feste invece di quella normale che fa ingrassare o che dicono di non voler mettere i leggings perché hanno le cosce troppo grosse.
Pensare che quel genere di pensieri faccia la sua comparsa in autonomia è fuori discussione, dunque i condizionamenti esistono e non sono solo quelli dei social media e del gruppo dei pari, sono anche e soprattutto quelli che si respirano in famiglia e non tanto in ciò che si dice ma in ciò che si fa.
Se c’è una responsabilità che noi genitori abbiamo rispetto ai figli è quella di lavorare su noi stessi, sul nostro rapporto col cibo, col corpo e con la magrezza, consapevoli che loro ci osservano, che siamo il loro specchio, che non possiamo essere assolti solo perché ai miei tempi era così.
Pochi giorni fa Ambra Angiolini ha pubblicato sui suoi social alcuni ritagli di giornale in cui mostra quanto il suo peso – mai sovrappeso – fosse diventato negli anni ‘90 oggetto di scherno, critica, odio. E come questo influì sulla sua autostima e sul futuro sviluppo di un disturbo alimentare. Ambra però ha affrontato una terapia, è guarita e si impegna attivamente per aiutare chi soffre di queste malattie. Ha fatto un percorso che l’ha portata alla consapevolezza prima e all’attivismo poi. Lo racconta in InFame, edito da Rizzoli nel 2021, una lettura che parla di bulimia, di stigma, di rabbia, di paura ma soprattutto del viaggio per diventare finalmente sé stessa.