Oggi vediamo gli effetti della cosiddetta pandemic fatigue: dopo oltre un anno, in cui l’asticella della fine delle restrizioni è stata spostata progressivamente più in alto, le persone provano una naturale sensazione di stanchezza e sfinimento. E secondo l’Oms, che ha sondato le emozioni dei cittadini europei, ne soffre il 60%.

Eppure qualche settimana fa abbiamo festeggiato la Giornata Mondiale della Felicità, quell’emozione positiva e funzionale che ci permette di provare una sensazione di appagamento. Allora la domanda è: si può provare felicità ai tempi del Covid?

Gli effetti socio-economici del Covid sulle donne

Secondo uno studio commissionato dal Dipartimento per i diritti e gli affari costituzionali del Parlamento europeo sugli impatti di genere della crisi Covid-19, nel breve e medio periodo le donne sono state maggiormente sottoposte agli effetti socio-economici del virus. Questo non perché il virus attacchi maggiormente le donne (anzi, sembra che siano lievemente meno colpite dal contagio), ma perchè hanno assorbito la maggior parte del lavoro di cura informale e non retribuito durante la pandemia, il che le ha costrette ad una revisione drastica della propria organizzazione di vita e di lavoro e, spesso, anche a ricorrere a congedi non retribuiti o a riduzioni dell’orario di lavoro. Nel testo di una recente Risoluzione del Parlamento Europeo si afferma che il persistere dello stereotipo sulla divisione del lavoro di genere fa sì che le donne dedichino alle attività di assistenza non retribuita un tempo da due a dieci volte superiore a quello degli uomini. Inoltre, il rapporto dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere del 2017 ha evidenziato che le disparità nell’uso del tempo non accennano a diminuire: dal 2005 al 2015, infatti, il tempo impiegato dalle donne nelle attività domestiche e di cura è aumentato ancora rispetto a quello impiegato dagli uomini.

Un fondo interamente destinato alla promozione della formazione personale delle donne (ed in particolare alle casalinghe) è la misura del governo inserita nel decreto dello scorso Agosto 2020, che punta a fornire alle donne inattive gli strumenti necessari per trovare un’occupazione. Il problema è che l’iniziativa poggia le basi su una falsa premessa: ovvero, che il problema dell’occupazione femminile abbia a che vedere con la mancanza di formazione, anziché con la mancanza di opportunità. Ma prima di apporre il timbro sul Fondo per le Casalinghe, al Ministero per la Famiglia avrebbero forse fatto bene a consultare i dati Istat del febbraio 2020, che mostrano che le donne italiane hanno un livello d’istruzione più alto degli uomini ma trovano lavoro meno facilmente. E quando lo trovano tende ad essere precario o peggio remunerato. La forbice tra il tasso di occupazione femminile e quello maschile, però, si è più che dimezzata negli ultimi 40 anni, passando dal 41% del 1977 al 18% del 2018. Ma, in un momento in cui la crisi economica scaturita dalla pandemia ha fatto calare ulteriormente il tasso di occupazione femminile, non basta affermare che «l’Italia crede nelle donne».

La felicità delle donne, in generale, è uno dei pochi tabù rimasti. C’è qualcosa di intrinsecamente sbagliato in una donna felice, pare. Una donna felice è una donna egoista, superficiale, pigra, arida. Una donna non può essere felice se prima non ha speso tutta se stessa, se non è stanca, se non si è sacrificata, se non ha dimostrato il proprio valore in quanto donna prendendosi cura dei figli, del marito, della casa, del cane, del gatto, delle piante, prendendosi cura di qualcosa, qualunque cosa, altrimenti che donna è.

La teoria dello strofinaccio

La chiamano la Teoria dello Strofinaccio quella secondo cui una donna, nel momento in cui il marito o il compagno rientra a casa, avverte l’urgenza di farsi trovare affaccendata, sfinita, stanca, sfiancata, comunque mai soddisfatta, e sempre con uno strofinaccio in mano. E forse è proprio quello strofinaccio (delle nostre antenate ormai, per fortuna) a tenerci lontane dalla felicità. È quello strofinaccio a convincerci che l’unico modo per essere davvero felici sia farci il vuoto intorno, per essere autorizzate a smetterla di ammazzarci di fatica e tornare a guardarci negli occhi.

Ma c’è chi, grazie a quello strofinaccio, ha costruito un impero: Joy Mangano, inventrice del Miracle Mop – detto comunemente mocio – e di oltre cento brevetti. Ha ideato una linea di profumi che neutralizzano i cattivi odori domestici, un trolley con tasche multifunzional, un paio di occhiali speciali per la lettura, una linea di biancheria per il letto e delle scarpe con il tacco di gomma, fatte apposta per essere indossate da persone in sovrappeso. Da casalinga disperata, si è trasformata in un’imprenditrice multimilionaria e la sua storia è persino diventata un film dal cast stellare.

Ora, chiedetele se è felice.

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