Provare ad andare oltre lo specismo: è quello di cui abbiamo bisogno in questo Paese. La mia riflessione nasce dalla lettura del recente libro del professor Valerio Pocar Oltre lo specismo. Scritti per i diritti degli animali, una raccolta di saggi, in gran parte inediti, per cercare di costruire un’etica capace di riconoscere i diritti di tutti gli esseri senzienti.

Un riconoscimento che è ancora lontano dall’essere attuato. Nella disfida quotidiana dei diritti e dei doveri in tema di animali, ad esempio, l’ingresso vietato, regolamentato o permesso in uffici, negozi, ascensori, giardini pubblici è uno dei più dibattuti, mal interpretati e fonte di diatribe e minacce di denunce.

Succede anche perché non c’è una legge nazionale sul tema e questo ha dato modo a chiunque non solo di dire la propria nel bene o nel male ma di fare a modo proprio.

Ma prima di entrare nel merito delle normative e delle loro interpretazioni, sono importanti due premesse: non tutti i cani amano entrare in luoghi chiusi come negozi e supermercati e non tutte le persone che vi portano un cane sono all’altezza del rispetto di precauzioni minime e dose necessaria di buona educazione, così come la questione è davvero di principio, il combattere una discriminazione basata sull’appartenenza a una specie diversa dalla nostra e che quindi, in automatico, è etichettata come pericolosa, portatrice di malattie e tanto altro. Significa quindi, anche nel piccolo, combattere lo specismo.

Secondo aspetto da tenere in considerazione: grazie a un cambiamento del Codice Civile, dal 2012 nessun Regolamento o Assemblea condominiale può vietare la convivenza con cani e gatti nella propria casa e, quindi dover usufruire degli spazi comuni per l’entrata e l’uscita dall’abitazione. Dallo stesso anno poi, le due società italiane dell’alta velocità ferroviaria hanno deciso permettere il trasporto dei quattrozampe nei vagoni dove fino ad allora era esplicitamente vietato per loro regolamento (e un Ministero, prima di questa decisione, stava pensando di togliere l’accesso, consentito parzialmente, a treni locali e intercity).

Il divieto imposto da un direttore generale per l’igiene nei supermercati

A fine gennaio, il direttore generale per l’igiene del Ministero della Salute, Ugo Della Marta, in risposta a un quesito di un cittadino (e indirizzata per conoscenza alle Regioni e, quindi, alle Asl) ha di fatto vietato l’ingresso di animali domestici (cani) negli esercizi di vendita di alimenti, negozi e supermercati. Lo ha fatto però mal interpretando un Regolamento europeo, l’852 in vigore dal 2004, che non permette, e giustamente, la presenza di alcuno, anche umano, non autorizzato, nei luoghi di “preparazione, trattamento e conservazione” degli alimenti. Anche a me che non ne ho titolo.

Ha dunque mal interpretato il termine luogo di conservazione, confondendolo con luogo di esposizione dei generi alimentari – confezionati, chiusi – per poter essere messi in un carrello o in una borsa. Questa nota ministeriale, datata 27 gennaio 2023, ha già fatto proseliti in alcuni esercenti che hanno prontamente affisso questa circolare.

Eppure la stessa Direzione Generale aveva precedentemente scritto, nel 2014 e nel 2017, e con stesso tipo di atto, esattamente il contrario. Quindi non è il caso, Ministro Schillaci, di rimettere mano a questa ultima decisione?

E poi, visto che si tratta di un regolamento europeo, seppure ora mal interpretato, visto che in Olanda o in Francia, solo per citare due Paesi dell’Unione, non sono in vigore questi divieti, e non vi sono stati problemi sanitari di alcun genere dovuti a cani, non è il caso, Ministro Schillaci, di rimettere mano a quest’ultima decisione?

Una famiglia italiana su tre vive con un animale domestico e singoli esercenti così come catene della grande distribuzione organizzata hanno fatto dell’accessibilità con il cane un loro tratto distintivo, anche con carrelli ad hoc per il quattrozampe. Quindi non è il caso, Ministro Schillaci, di rimettere mano a questa ultima decisione?

E, ultimo quesito, perché scrivere nella nota che se vi sono regolamenti comunali che permettono l’accesso dei cani questi non sono nulli e invece rifugiarsi in una definizione di responsabilità – che c’è in ogni caso da parte dell’esercente – riguardo alle procedure di autocontrollo e alle relative misure in sede di eventuale ispezione, tale da far preferire all’esercente un divieto tout court di accesso ai cani?

Insomma, quegli stessi cani che invochiamo come utili in ambito medico per aiutare i malati, i bambini e gli anziani, che in un terremoto sono fondamentali per il ritrovamento di umani sotto le macerie, tipologie di attività dove vi sono ben più importanti criticità sanitarie, sono gli stessi che una Direzione del Ministero della Salute, facendo una inversione a U di 360 gradi a distanza di alcuni anni dai suoi precedenti pronunciamenti, e a fronte di alcun problema sanitario emerso in questi anni di aperture da parte di tante insegne, vuole tenere fuori da salsamenterie e supermercati, magari affrancati a un moschettone alla mercè di ladri e comportamenti negativi proprio perché non vicini ai propri familiari umani.

Ma qualche giorno fa, grazie alle nostre proteste, è stata ristabilita la chiarezza con una nuova nota ministeriale, in cui si precisa che le regole di accesso e le limitazioni devono essere stabilite dal singolo responsabile legale dell’esercizio (dal titolare insomma). Divieti ad accessi tout court degli animali negli esercizi di vendita di alimenti, supermercati compresi, non sono pertanto stabiliti né da norme nazionali né europee.

Un divieto generalizzato, oltre a essere penalizzante e discriminatorio per coloro che vivono con un cane, sarebbe stato anche illegittimo. Quindi è il negoziante, la direzione del supermercato che può fissare divieti e limiti. Non obbligatori. Sempre in attesa di una legge, l’auspicio è che si metta fine a questi tira e molla.

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