Sei un maschio o una femmina? Con questa celebre frase si apriva, nell’ormai lontano 2001, il terzo capitolo di una delle saghe videoludiche più fortunate di sempre. Sembra roba da poco, una domanda quasi dovuta all’inizio di un videogioco, ma non è propriamente così. Quella di Pokémon Cristallo, per il brand dei mostri tascabili, fu una vera e propria rivoluzione. Nei primi due – in realtà quattro – capitoli, la scelta del protagonista da impersonare era bloccata su quello di genere maschile, lasciando poca libertà di immersione alle giocatrici di sesso femminile o a chi, in nome della varietà che una vita digitale può offrire, voleva impersonare un individuo del sesso opposto.

In Pokémon Cristallo avvenne la svolta: fu introdotta una scelta. Da quel capitolo in poi si sarebbe potuto scegliere chi essere, per la prima volta i giocatori appassionati dei “pocket monsters” potevano rappresentare il genere che preferivano senza alcun obbligo. La scelta di The Pokémon Company di inserire un personaggio unicamente maschile, comunque, non era sintomo di arretratezza; c’è infatti da spezzare una piccola lancia in favore del colosso nipponico, che basa i suoi giochi sulla pratica del collezionismo di insetti – molto diffusa in Giappone – praticata in larga parte da ragazzi e bambini.

Sebbene storicamente il videogioco sia sempre stato visto come un prodotto rivolto principalmente al pubblico maschile, già nel 1986 Nintendo introduceva quella che viene tutt’ora definita come la prima eroina dei videogiochi: Samus, protagonista della saga di Metroid. I personaggi femminili all’interno del mondo videoludico sono stati quasi sempre rappresentati come figure di supporto o hanno rivestito il ruolo della più classica damigella in pericolo. Questo, però, non ha fatto altro che lasciare la strada spianata per famosissime eroine del calibro di Lara Croft, che hanno sfruttato al meglio il proprio genere trasformandolo in un vantaggio competitivo: la diversità.

Oggi l’habitat videoludico si è evoluto proprio grazie a chi ha saputo osare negli anni, e non esiste (quasi) più il problema della rappresentazione di genere. Anche quei personaggi che prima erano solo principesse indifese, oggi sfoggiano forti personalità ed ottime capacità; talvolta, proprio i personaggi femminili rappresentano il villain più duro da battere. Basta guardare al recentissimo The Last Of Us (entrambi i capitoli) per capire di cosa sto parlando. Insomma, se il videogioco è libertà totale d’espressione, il genere non viene certo tenuto da parte da nessuno.

Anche in un periodo come quello che viviamo oggi, che ha visto emergere svariati generi diversi che ci hanno fatto rompere la barriera della binarietà, il videogioco non si è sottratto al suo dovere di essere adatto a tutto e tutti. Questo, in quanto prodotto culturale, deve potersi raccontare a chiunque cercando di dare a tutti lo stesso grado di immedesimazione. Sappiamo infatti quanto il videogioco sia un’esperienza, più che un prodotto, al giorno d’oggi, e per essere tale deve sapersi mostrare versatile ad ogni giocatore.

Ci sono giochi indipendenti come Neo Cab, ad esempio, che hanno introdotto personaggi non binari lanciando una vera e propria sfida per i traduttori italiani. Questi, con grande capacità a dire il vero, hanno letteralmente creato qualcosa che nella loro lingua non esiste – il genere neutro – e lo hanno adattato perfettamente al gioco, regalando un esempio di quanto il mondo videoludico sappia rivoluzionare le epoche che tocca. Ma ci sono anche esempi più illustri di una grande attenzione dimostrata nei confronti dei non binari: in Cyberpunk 2077, ad esempio, si potranno creare personaggi transgender. Anche in Animal Crossing, nonostante si debba indicare il proprio sesso ad inizio gioco, si può scegliere di personalizzare il proprio personaggio con acconciature ed abiti del genere opposto – e non è difficile trovare altri personaggi interessati ad individui del loro stesso sesso. Chi più ne ha, più ne metta.

I videogiochi sono un po’ lo specchio della realtà che viviamo. Vogliono offrirci un’esperienza immersiva e personalizzabile, ma contemporaneamente accomunarci tutti sotto le stesse tematiche. È quasi poetico il fatto che, oltre che di guerre e battaglie o avventure fantastiche, molto spesso il videogioco sappia impegnarsi socialmente – soprattutto nell’ultimo ventennio – dimostrando che il mondo è fatto di sfumature, e che queste possono essere di tutti i colori.

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