Oggi vi propongo il grande classico nel catalogo Einaudi Ragazzi dal 1995 perché l’ho appena letto a mia figlia che fa le elementari (senza riuscire a mantenere la voce ferma per la commozione).

Parlo di La storia di Ulisse e Argo, di Mino Milani, di cui Gianni Rodari diceva:

«Mino Milani […] non è un romanziere d’una volta, ma uno scrittore d’oggi, contemporaneo del cinematografo e della TV, due invenzioni con le quali ha fatto da un pezzo i suoi conti, traducendo in una tecnica moderna la loro grande lezione: narrare per immagini ritmando velocemente l’azione».

Genio della letteratura per ragazzi e non solo (storico, giornalista, fumettista…), lo ricordiamo tutti, negli anni ’50, per le collaborazioni con Il Corriere dei Piccoli e poi con La Domenica del Corriere, insieme a big come Hugo PrattMilo Manara.

Scritto in una prosa autorevole ma coinvolgente, dal sapore antico, il libro ripercorre la Guerra di Troia da un punto di vista particolarissimo: la relazione d’amore tra Ulisse e il suo adorato cane, Argo. Ulisse, qui, è un adolescente fobico: ha paura dei cani a tal punto da pietrificarsi come solo il panico sa pietrificare. Per questo il suo Maestro di Guerra, arrivato ad Itaca per volere di Laerte, il padre del giovane, si rifiuta di istruirlo: Ulisse è un pavido.

Accade, però, che il futuro eroe si imbatta in un contadino che sta uccidendo una cucciolata di cani, sotterrandoli vivi, impossibilitato di nutrirli tutti. Mosso a pietà, riesce a salvarne solo uno, Argo, che quindi alleva e cresce, fino a diventare da lui inseparabile. Per lo meno finché non scoppia la guerra, e ad Ulisse viene impedito di portare il cane in nave.

Dopo vent’anni di guerra e di avventura, durante i quali Argo, ogni singolo giorno, attende il padrone alla Punta del Mattino, proprio dove, disperato, aveva visto scomparire all’orizzonte il suo amato, Ulisse riesce a tornare a casa.

Si finge un mendicante, come sappiamo, perché i Proci hanno occupato la reggia in attesa di sposare Penelope, ritenuta ormai vedova. Nessuno lo riconosce, nemmeno il figlio Telemaco, che lo aveva conosciuto solamente da piccolo. Tranne Argo, ormai in fin di vita, succhiato dalle zecche e superato il tempo massimo a disposizione.

La coda comincia a muoversi, il volto ad alzarsi appena, gli occhi a brillare e, mentre Ulisse cerca di resistere al corrergli incontro (così tradendosi), continuando a fissarsi occhi negli occhi, il cane, felice, muore. Frantumando il cuore del suo padrone, che finirà il resto dei suoi anni raccontandogli ogni giorno, sulla sua tomba alla Punta del Mattino, le sue avventure quando erano distanti.

«Com’egli vide il suo signor più presso / E, benché tra quei cenci, il riconobbe / Squassò la coda festeggiando, ed ambe / Le orecchie, che drizzate avea da prima / Cader lasciò; ma incontro al suo signore / Muover, siccome un dì, gli fu disdetto» (Libro XVII dell’Odissea)

Un romanzo magistrale, poetico anzi lirico, come solo Il Piccolo Principe, capace di farci vivere l’importanza di coltivare quei rapporti che ci aiutano a crescere. Un libro che parla di emozioni come leva per crescere e, di più, diventare eroici, ossia fiorire secondo la natura più autentica a cui si appartiene.

Ma anche di fragilità come ponte per la forza e del coraggio che nasce dalle paure. Un testo perfetto per quarta e quinta elementare, se inteso come guida alla consapevolezza dei propri stati d’animo: commozione, ansia, entusiasmo, rabbia, paura, gioia sono emozioni primarie e fondamentali che qui sono rappresentate ed espresse, ben descritte attraverso vicissitudini mitiche.

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