L’arte figurativa, la pittura in particolare, riesce ancora a parlarci, in una qualche maniera. Liberatasi dall’ossessione di rinnovare continuamente il proprio linguaggio, ossessione insita in tutti i vari ismi (romanticismo, classicismo, realismo, impressionismo, espressionismo, simbolismo, astrattismo, cubismo, futurismo, surrealismo, ecc…), la pittura ha (ri)trovato da tempo un suo spazio e si (ri)propone come un canale di lettura del presente.

Alla pittura figurativa, al quadro di piccole/medie dimensioni inserito in un ambiente domestico, è spettato il compito di inaugurare la nuova sede in Roma di una galleria, la Monitor, da tempo presente nel panorama artistico italiano ed europeo.

La mostra Paura della pittura, curata dai fratelli Gianni e Giuseppe Garrera, ha inaugurato la nuova, bellissima sede a San Lorenzo (Via degli Aurunci 44), rafforzando ancor di più la profilatura di questo quartiere come polo artistico.

Ci sono delle stanze in mattoni, bianchissime, ciascuna delle quali ospita una tematica classica della cosiddetta pittura figurativa: il paesaggio, il vaso di fiori, la figura umana, la vanitas, le nature morte.

All’interno di quello che sembra essere un luogo sacro si celebra l’incontro tra artisti del passato, alcuni dei quali ancora poco conosciuti (Ugo Celada, Alfredo Chighine, Virgilio Guzzi, Walter Lazzaro, Giovanni Omiccioli, Domenico Purificato, Ada Schalk), di cui è stato scelto un solo dipinto canonico, ed artisti viventi (Matteo Fato, Thomas Braida, Nicola Samorì e Elisa Montessori), a cui è stato richiesto un dipinto che stesse entro le stesse misure o le superasse per eccesso o per difetto “in modo tollerato e scelto nell’ambito della tradizione”.

In primo piano: Domenico Purificato, “Torello sulla spiaggia”, 1959, in secondo piano: Ugo Celada da Virgilio, “Natura morta”, N.D. (Courtesy Monitor Rome).

“Abbiamo immaginato la mostra come una sorta di sacra conversazione tra antichi e moderni, simile ai dialoghi silenziosi tra i santi presenti nei polittici rinascimentali“. (Gianni e Giuseppe Garrera).

Nessuna didascalia che possa distogliere la concentrazione da quell’unica superficie bidimensionale che abbiamo di fronte.

Giovanni Omiccioli, “Rose”, 1948, Olio su tela.(Courtesy Monitor Rome).

“Si racconta che Cézanne, davanti alle Nozze di Cana di Veronese, avesse affermato che l’acqua viene tramutata in vino come il mondo viene tramutato in pittura. La natura e il mondo non sono che acqua, per tramutarle in vino bisogna necessariamente dipingerle”. (Gianni e Giuseppe Garrera).

Se la pittura, in particolare quella figurativa e appartenente alla tradizione, ci sembra di facile lettura, uno sguardo più attento alle opere ci mostra una complessità sotto la superficie, che passa dagli interventi di Nicola Samorì, distruttivi e costruttivi, con il colore ad olio quasi scolpito sulla tela e una luce che richiama le ambientazioni di opere dei grandi maestri del Cinquecento/Seicento, alla riflessione di Matteo Fato (classe 1979) su contenuto e contenitore (le basi delle sue opere non sono altro che le casse usate per trasportare i dipinti), fino al mondo estraniante di Thomas Braida (classe 1982).

Nicola Samorì, “le variazioni di Veerendael”, 2023. (Courtesy Monitor Rome).
Nicola Samorì, “le variazioni di veerendael”, 2023, particolare.

Matteo Fato, “Florilegio 18, ossia, vigilia di un crepuscolo (serale)”, 2023. (Courtesy Monitor Rome).

Thomas Braida, “Il fiore avaro”, 2023. (Courtesy Monitor Rome).

Il pezzo più atipico dell’esposizione, così come la sua autrice, è La mano sinistra, il disegno su carta di Elisa Montessori. Questa piccola opera, dal tratto pulito e lineare, dice molto sull’eleganza del disegno e della composizione.

Elisa Montessori, “La mano sinistra”, 1948. (Courtesy Monitor Rome).

La ricerca artistica della Montessori ha inglobato, nel tempo, alcuni valori dell’arte orientale, da sempre caratterizzata dalla linea, più che dal colore, e dall’equilibrio tra il vuoto e il pieno.

Formatasi nell’ambiente romano, popolato da nomi divenuti illustri nel tempo (quali quelli di Corrado Cagli, Afro e Mirko Basaldella), Elisa Montessori, nata nel 1931, è stata estranea ai gruppi o alle tendenze del tempo, atteggiamento questo che se da un lato ha contribuito a rendere più marginale il suo nome rispetto a quello dei suoi colleghi, dall’altro le ha consentito di mescolare linguaggi e tendenze stilistiche diverse, anticipando quella combinazione di astrazione e figurativo molto più diffusa oggi che in passato.

La paura di essere nella moda
o di esserne fuori

Quella mano, posta all’ingresso della galleria, sembra quasi rappresentare un invito ad immergersi nella pittura figurativa e di genere, ancora ponte tra le vecchie e nuove generazioni, senza la paura d’essere nella moda e la paura d’esserne fuori.

“Ma l’atto del dipingere è spesso caratterizzato non più dal coraggio come per Giotto, per Tintoretto, o per Tiziano o per Caravaggio o per Van Gogh, anzi dalla paura. Paura degli amici, dei nemici, dei critici, dei mercanti, della propria cultura, dei libri che si son letti, del ‘breviario di estetica’, dei quadri che si son visti e di quel che è stato detto e scritto su quei quadri, paura di se stessi, del proprio passato e del proprio avvenire, paura dell’illustrazione, del decorativismo, del naturalismo, del sentimento, dell’imitazione, paura dell’oggetto come oggetto, paura d’essere nella moda e paura d‘esserne fuori”. (Renato Guttuso).

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